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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19222 - pubb. 11/01/2018.

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Cassazione civile, sez. I, 05 Gennaio 1995, n. 185. Est. Proto.

Curatore - Poteri - Rappresentanza giudiziale - Coadiutore del curatore - Procura ad litem - Rilascio al difensore del fallimento - Specifica delega del curatore e autorizzazione del giudice delegato - Mancanza - Procura ad "litem" - Invalidità - Autorizzazione a stare in giudizio - Successivo rilascio da parte del giudice delegato e produzione in giudizio - Sanatoria nella predetta invalidità con effetto retroattivo - Ammissibilità


La invalidità della procura ad "litem" rilasciata al difensore del fallimento del coadiutore del curatore in base a delega di quest'ultimo (art. 32, primo comma, legge fallimentare) priva della necessaria specificità e dell'autorizzazione del giudice delegato, resta sanata - anche in fase di gravame - con effetto retroattivo e con il solo limite dei diritti quesiti di natura sostanziale, quando l'autorizzazione da parte del giudice delegato a stare in giudizio in nome e per conto del fallimento sia, comunque, successivamente conseguita e prodotto. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I


Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Mario CORDA Presidente

" Renato BORRUSO Consigliere

" Giancarlo BIBOLINI "

" Antonio CATALANO "

" Vincenzo PROTO Rel. "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto del 18 novembre 1985 il sig. Loris Carloppi - promissario acquirente, insieme con la moglie, Roberta Neri, dell'immobile di cui alla scrittura privata in data 18 novembre 1981, registrata nel novembre successivo - convenne in giudizio davanti al Tribunale di Firenze la promittente venditrice, s.r.l. Immobiliare Vallina, e la curatela del fallimento s.a.s. Istituto Artistico Fiorentino di Roberta Neri e di quest'ultima in proprio. Addusse che era stata posta in essere una vendita di aliud pro alio, in relazione al mancato rilascio del certificato di abitabilità dell'appartamento stesso e dei dubbi che la società immobiliare potesse ottenerlo, dati i rilevanti inadempimenti agli obblighi ad essa imposti dal Comune in sede di lottizzazione. Chiese, quindi, che fosse pronunziata la risoluzione del contratto preliminare, per fatto e colpa della promittente venditrice, e la condanna della stessa alla restituzione della parte di prezzo da lui versato.

Costituitasi, la Immobiliare Vallina contestò la fondatezza della domanda e, in via riconvenzionale, chiese che il contratto fosse risolto per colpa dei promissari acquirenti, inadempienti agli obblighi relativi al prezzo di vendita (lire 217.000.000), sostenendo che, anche i vaglia cambiari da essi rilasciati come corrispettivo, non erano stati pagati. Chiese, inoltre, la condanna del Carloppi e della Neri al risarcimento dei danni conseguente all'inadempimento. Anche il fallimento si costituì, dichiarò di non voler subentrare nel contratto, e ne chiese la risoluzione, con la condanna della società immobiliare alla restituzione dei versamenti effettuati dalla signora Neri (lire 90.000.000).

Nel corso del processo quest'ultima si costituì, ai sensi dell'art.43, capov., l. fall., e dichiarò di disconoscere "ogni sottoscrizione portante il nome Roberta Neri o Roberta Carloppi" sui titoli cambiari prodotti. Nel merito aderì alle conclusioni della curatela fallimentare.

2. Con sentenza del 19 marzo 1990 il Tribunale dichiarò inammissibile l'intervento della fallita, e rigettò la domanda del Carloppi e del fallimento contro la Immobiliare Vallina; accogliendo la riconvenzionale di quest'ultima, dichiarò risolto il preliminare, in virtù della clausola risolutiva espressa della quale la società aveva dichiarato, con atto del 18 aprile 1985, di volersi avvalere, per l'inadempimento dei promittenti acquirenti; dichiarò il diritto della società stessa di trattenere a titolo di risarcimento del danno tutti gli importi da essi versati, e condannò il Carloppi e il curatore a rilasciare l'immobile.

Avverso questa decisione proposero gravame il Carloppi e la Neri con distinte impugnazioni (notificate entrambe il 28 maggio 1990), chiedendo che fossero accolte le domande formulate in primo grado. Costituitasi in entrambi i giudizi, anche la curatela propose gravame, in via incidentale, chiedendo che il preliminare fosse sciolto ai sensi dell'art. 72 l. fall., ovvero, in subordine, fosse risolto, e la società immobiliare condannata alla restituzione dei versamenti a suo tempo effettuati dalla Neri, per lire 90.000.000. 3. Con sentenza non definitiva del 10 luglio 1992 (impugnata in questa sede) la Corte d'appello, rigettate le eccezioni di carattere pregiudiziale sollevate dalla Immobiliare Vallina, dichiarò il preliminare di vendita sciolto, ai sensi dell'art. 72 l. fall., nei confronti della curatela fallimentare e della fallita Neri, nonché risolto, per clausola risolutiva espressa, nei confronti del Carloppi per fatto dei promittenti acquirenti. Da un lato, condannò la Immobiliare Vallina a restituire al fallimento e al Carloppi gli acconti sul prezzo; dall'altro, condannò il Carloppi a risarcire alla società immobiliare il danno conseguente alla risoluzione; entrambi da determinarsi nell'ulteriore corso del giudizio. Infine, confermò la statuizione relativa all'ordine dell'immediato rilascio dell'immobile e dispose con ordinanza la prosecuzione dell'istruttoria.

La Corte, sulle questioni pregiudiziali - in particolare, circa la carenza di legittimazione del coadiutore a rilasciare la procura ad litem per il fallimento e, comunque, sul difetto di prove che tale qualità rivestisse, nella specie, la persona che aveva sottoscritto la procura - osservò che la ratifica del giudice delegato, intervenuta il 17 giugno 1992, in merito all'operato della curatela tramite il coadiutore (nominato il 15 ottobre 1987), operava come sanatoria con effetto retroattivo dell'originaria mancanza di autorizzazione, e che la sanatoria stessa (prodotta con la memoria di replica del 19 giugno 1992) era documentabile anche dopo la rimessione della causa al Collegio. Ritenne, inoltre, ammissibile l'intervento nella causa della Neri, rilevando, fra l'altro, che il curatore non ne aveva eccepito l'incapacità processuale. Nel merito, considerò che, a fronte della domanda di risoluzione proposta in riconvenzionale dalla promittente venditrice, la dichiarazione espressa dal curatore nella comparsa di risposta, di non voler subentrare nel contratto, implicava la volontà di sciogliersi dal vincolo; confermò, invece, nei confronti del Carloppi - obbligato in solido con la Neri ad adempiere il contratto e al quale non si estendevano, nei rapporti con la promittente venditrice, gli effetti erga omnes della cessazione, ex art. 72 l. fall., del rapporto - la decisione del Tribunale circa l'inesistenza dell'inadempimento della Immobiliare Vallina ed il grave inadempimento dei promissari acquirenti, per non avere questi corrisposto consistenti ratei del prezzo stabilito. Ritenne, infine, che dovevano essere ammessi i mezzi istruttori richiesti dal Carloppi, circa le somme effettivamente riscosse dalla società, e dal curatore, in ordine al prezzo realmente concordato per la vendita ed ai pagamenti effettivamente eseguiti; e dispose una consulenza tecnica al fine di accertare, anche mediante esame delle scritture contabili dell'Immobiliare Vallina, l'ammontare dei pagamenti effettuati per determinare l'equo canone in relazione all'immobile oggetto del preliminare, atteso che il danno per la detenzione dell'immobile avrebbe dovuto essere determinato in misura equivalente.

4. Avverso questa decisione la s.r.l. Villamagna Residence (già Immobiliare Vallina) ha proposto ricorso per cassazione con sei mezzi di annullamento. Hanno resistito all'impugnazione con distinti controricorsi la Neri, il Carloppi e la curatela del fallimento s.a.s. Istituto Artistico Fiorentino (I.A.F.) di Neri Roberta & C., nonché della socia illimitatamente responsabile. La ricorrente e il fallimento hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo del ricorso la società Villamagna Residence deduce la nullità, che la sentenza impugnata avrebbe dovuto rilevare anche d'ufficio, delle impugnazioni proposte dalla Neri e dal Carloppi per la mancata specificazione dei motivi relativi ai gravami stessi.

La censura non ha fondamento. Secondo principi pacifici, per la sussistenza del requisito della specificità dei motivi, previsto dall'art. 342 c.p.c., è necessario indicare nell'atto di appello, anche mediante esposizione sommaria, le doglianze, in modo tale che il giudice dell'impugnazione sia posto in grado di identificare i punti impugnati e le ragioni di fatto e di diritto in base alle quali è richiesta la riforma della pronunzia di primo grado. E tale onere determina la nullità dell'atto di appello, quando nessun capo della decisione impugnata sia censurato con sufficiente specificazione. Alla stregua di tali criteri, è sufficiente rilevare - a dimostrazione della pretestuosità della doglianza - che nella specie, nelle impugnazioni proposte dalla Neri e dal Carloppi si è censurata (fra l'altro) l'inammissibilità dell'intervento in causa della fallita, statuita dal primo giudice, sul rilievo che "ogni mancata dimostrazione di poste attive e passive nel bilancio di un fallito, non altrimenti che ogni falsificazione di scritture, può determinarne un'imputazione ai sensi dell'art. 216 r.d. 16 marzo 1942 n. 267", e che tale intervento nella fattispecie tendeva "a far dichiarare insussistente un suo debito cambiario, in quanto i titoli azionari ed il contratto cui essi si riferiscono contengono la sua firma falsificata...".

2. Col secondo motivo - denunziando violazione degli artt. 82 e 83 c.p.c., nonché degli artt. 31, 32 e 25 l. fall. - la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver attribuito effetto sanante con efficacia retroattiva al provvedimento del giudice delegato (e considerato perciò rituale l'appello incidentale proposto dal fallimento) in virtù del mandato ad litem conferito dal coadiutore. E sostiene che nella specie il ricorso, sottoscritto dal solo coadiutore, era insuscettibile di ratifica, e che, comunque, il documento, da cui risultava la ratifica dell'attività espletata dal curatore tramite coadiutore, non era stato prodotto tempestivamente in giudizio.

Le censure non hanno fondamento.

La sentenza impugnata ha ritenuto sanata, con effetto retroattivo, l'attività svolta dal dottor Fazzini, in nome e per conto del curatore, nel conferire il mandato ad litem al difensore del fallimento, muovendo dalla considerazione che, in base al contenuto della delegazione di cui all'atto in data 15 ottobre 1987, egli aveva agito come delegato del curatore, ai sensi dell'art. 32, primo comma, l. fall., e che l'opera da lui espletata in tale qualità era stata successivamente "approvata" dal giudice delegato in virtù del decreto, in data 17 giugno 1992, di "ratifica" delle attività compiute dalla curatela con specifico riferimento "alla proposizione dell'appello incidentale e alla rappresentanza in giudizio per tale fase processuale".

La Corte di merito ha cioè ritenuto che la procura rilasciata dal dottor Fazzini al difensore, in sostituzione e nell'esercizio delle stesse funzioni del curatore, anche se invalida - perché conferita, in base ad una delega priva della necessaria specificità e dell'autorizzazione prescritta dalla legge - era stata, tuttavia, sanata con effetto retroattivo.

Queste statuizioni sono in linea con l'orientamento già espresso, in fattispecie analoghe, da questa Corte.

È, infatti, pacifico che il difetto di capacità processuale del curatore - determinato dalla mancanza di autorizzazione da parte del giudice delegato a stare in giudizio in nome e per conto del fallimento - resta sanato quando essa sia, comunque, successivamente conseguita e prodotta, e che la sanatoria opera retroattivamente, con il solo limite dei diritti quesiti di natura sostanziale (Cass. 30 gennaio 1989 n. 553). E recentemente, si è pure stabilito che, anche il difetto di legittimazione ad processum derivante dalla mancanza di una delega speciale, secondo le previsioni dell'art. 32, primo comma, l. fall., resta sanato - pur in fase di gravame - con effetti ex tunc, dalla costituzione in giudizio della persona legittimata che faccia proprio e ratifichi l'operato del falsus procurator (Cass. 29 aprile 1994 n. 4167). 3. Col terzo motivo la società ricorrente (denunciando la violazione dell'art. 105 c.p.c. e dell'art. 43 l. fall.) deduce l'inammissibilità dell'intervento nella causa della signora Roberta Neri, posto che, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, il fallito difetta di legittimazione ad intervenire nel procedimento in cui è parte il curatore.

La censura, nei termini in cui è formulata, è generica e non ha consistenza.

La Corte d'appello ha stabilito l'ammissibilità dell'intervento della Neri nella causa, rilevando, da un lato, che, nella fattispecie, la curatela fallimentare aveva mostrato di essere direttamente interessata alla partecipazione della fallita nel giudizio stesso; e, dall'altro, che la sua partecipazione era il solo modo per pervenire al disconoscimento delle firme apposte sui titoli cambiari prodotti dalla Immobiliare Vallina, dei quali la fallita contestava la veridicità; con ciò ritenendo, in definitiva, che il predetto intervento rientrava tra le ipotesi previste dalla legge. In tale situazione non ha, dunque, rilievo ne' significato l'affermazione (censurata dalla ricorrente), circa la mancata eccezione, in ordine al difetto di legittimazione della Neri, da parte del curatore.

4. Col quarto motivo si denuncia la violazione dell'art. 72 l. fall. e si deduce che: a) il curatore aveva chiesto al Tribunale, nella comparsa di costituzione, di voler risolvere il contratto e, quindi, la successiva domanda di scioglimento, formulata per la prima volta in appello, non avrebbe potuto trovare accoglimento perché nuova; b) l'esercizio della facoltà di cui all'art. 72 l. fall. presuppone la titolarità esclusiva del rapporto in contestazione, e nella specie essa non poteva essere esercitata, in quanto la titolarità del contratto spettava solidalmente sia alla fallita che al coniuge, rimasto in bonis; c) la Corte di merito avrebbe dovuto rilevare l'inefficacia della dichiarazione di scioglimento, in quanto essa era destinata ad incidere su un contratto già risolto per effetto della dichiarazione della società immobiliare, comunicata il 18 aprile 1985, di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa contenuta nell'atto privato del 7 giugno 1984. Il motivo è infondato in tutte le sue articolazioni.

4.1. La censura sub a) è pretestuosa in quanto -

indipendentemente da ogni ulteriore rilievo - dal diretto esame degli atti processuali risulta che il fallimento dichiarò, già nell'atto di costituzione nel giudizio di primo grado, di non voler subentrare nel contratto preliminare di compravendita non ancora eseguito, stipulato dalla Immobiliare Vallina con la Neri e il Carloppi. E tale dichiarazione è stata, poi, ripetuta nel successivo giudizio d'appello.

4.2. Sub b), si osserva. È principio pacifico che, nell'ipotesi di fallimento del promissario acquirente, l'altro contraente non ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto preliminare nei confronti della massa. Infatti, anche in tale ipotesi l'esecuzione rimane sospesa, ai sensi dell'art. 72, sec. comma l. fall., fino a quando il curatore non dichiari di subentrare in luogo del fallito ovvero di sciogliersi dal rapporto, mentre il promittente venditore può, soltanto, mettere in mora il curatore, facendogli assegnare un termine, decorso il quale il contratto si intende sciolto (art. 72, terzo comma).

Essendo questa la posizione del curatore secondo la speciale disciplina del r.d. 16 marzo 1942 n. 267, non vi è motivo per ritenere che diverso sia il regime nell'ipotesi in cui uno dei promissari acquirenti si trovi in bonis. Occorre, infatti, considerare che lo scioglimento del contratto, nel sistema fallimentare, si verifica, non già secondo gli schemi della normativa ordinaria dei negozi giuridici, ma in virtù di una disposizione particolare, che subordina alle esigenze pubblicistiche proprie della procedura concorsuale il mantenimento in vita del contratto (preliminare) non ancora eseguito; cioè di una norma che ha la sua eccezionale ragion d'essere nel fallimento sopravvenuto e che non avrebbe giustificazione fuori di esso. Conseguentemente, anche l'azione di restituzione, quale effetto dello scioglimento, nasce e si spiega nel quadro della dichiarazione di fallimento, che la sottrae al suo schema legale tipico.

In questa situazione è logico che, come ha ritenuto la sentenza impugnata, la disciplina ordinaria trovi applicazione nei confronti del solo soggetto (promissario acquirente) rimasto in bonis e non si estenda alla curatela fallimentare.

4.3. Anche la censura sub c) non ha consistenza.

È opportuno premettere, in linea di fatto, che nella specie la dichiarazione di fallimento a carico della Neri è intervenuta nel dicembre 1984 e che la dichiarazione della società immobiliare di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa è successiva all'apertura della procedura concorsuale.

In tale situazione è pacifico che non può essere chiesta la risoluzione del rapporto (Cfr. Cass. 9 dicembre 1982 n. 6713), perché la stessa ratio che osta alla proponibilità della domanda di risoluzione contrattuale contro il fallimento dell'inadempiente, impedisce che dopo la dichiarazione di fallimento di quest'ultimo il contraente possa fare accertare, con riferimento ad un inadempimento anteriore, l'avveramento della condizione risolutiva, se la relativa domanda non sia stata proposta prima del fallimento. 5. Col quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 2697 c.c., dell'art. 61 c.p.c. e degli artt. 61, 210 e 118 c.p.c., per avere la Corte d'appello disposto, d'ufficio, l'accertamento dell'effettivo ammontare dei pagamenti eseguiti dai promittenti, mediante consulenza tecnica, sollevando così le parti (che già avevano chiesto ed ottenuto di provare questo stesso fatto) dall'onere probatorio relativo.

Col sesto motivo deduce la violazione dell'art. 187 c.p.c. e la inammissibilità della disposta prova per testi chiesta dal curatore, volta a dimostrare che a copertura della somma ancora dovuta a saldo del prezzo, era stato rilasciato dai promissari acquirenti un regolamento cambiario a favore di vari beneficiari, giacché essa tendeva a dimostrare un accordo simulatorio nei confronti di soggetti estranei al giudizio.

I due motivi, vertenti entrambi sui provvedimenti istruttori (interrogatorio formale, prova per testi e consulenza tecnica d'ufficio) disposti dalla Corte d'appello "con separata ordinanza", sono inammissibili. È noto, infatti, che il provvedimento con il quale il giudice d'appello disponga, come nella fattispecie, nella forma dell'ordinanza collegiale, ex art. 356 c.p.c., l'assunzione di prove o, comunque, impartisca disposizioni volte alla prosecuzione del processo, mantiene natura ordinatoria, anche sotto il profilo sostanziale, ed è, quindi, modificabile e revocabile dallo stesso collegio e non pregiudica la successiva decisione della causa. Esso, pertanto, non è impugnabile mediante ricorso per cassazione (cfr. Cass. 18 luglio 1989 n. 3356). 6. In conclusione, devono essere rigettati il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso, mentre vanno dichiarati inammissibili il quinto ed il sesto motivo. Il ricorso, quindi, non può essere accolto.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione integrale delle spese processuali relative a questa fase del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto dalla societa Villamagna Residence e dispone la compensazione delle spese processuali relative a questa fase del giudizio.

Così deciso il 26 settembre 1994 in Roma, nella camera di consiglio della prima Sezione civile.