Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19223 - pubb. 11/01/2018

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Cassazione civile, sez. IV, lavoro, 11 Gennaio 1995, n. 267. Est. Santojanni.


"Legitimatio ad processum" - Accertamento - In ogni stato e grado del processo - Ammissibilità - Limite - Produzione dell'atto o documento probante la legittimazione - Sanatoria retroattiva - Sussistenza - Limite - Accertamento della mancanza delle capacità da parte del giudice del merito con conseguente valutazione della validità dell'atto compiuto in mancanza di essa - Operatività della sanatoria - Inammissibilità



La "legitimatio ad processum", riferita alla capacità delle parti a stare in giudizio, in proprio o con la debita rappresentanza, assistenza o autorizzazione, costituisce un presupposto processuale che attiene alla regolare costituzione del rapporto processuale e l'accertamento della sua esistenza o della sua mancanza può essere compiuto in ogni stato e grado del processo, sinanche in sede di legittimità, con il solo limite della formazione del giudicato che preclude la proposizione o la riproposizione della relativa questione. Pertanto, la produzione dell'atto o documento da cui risulti la sussistenza di detta legittimazione, produzione ammissibile anche nel giudizio di cassazione, ai sensi dell'art. 372, primo comma, cod. proc. civ., non essendo assoggettata alle preclusioni, anche di ordine cronologico, riguardanti l'acquisizione del materiale probatorio occorrente per decidere la causa nel merito, ha l'effetto di sanare retroattivamente le irregolarità che inficiano i precedenti gradi del giudizio, fermo restando che tale sanatoria non opera quando i giudici di merito abbiano già rilevato la mancanza del presupposto processuale, traendone le debite conseguenze in ordine alla validità dell'atto compiuto in mancanza di esso. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


Cass. civ. Sez. lavoro, 11-01-1995, n. 267


Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:


Dott. Francesco MOLLICA Presidente


" Marino Donato SANTOJANNI Rel. Consigliere


" Stefano CICIRETTI "


" Luciano VIGOLO "


" Guglielmo SIMONESCHI "


ha pronunciato la seguente

SENTENZA


Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in cancelleria il 21 dicembre 1990 L'I.N.A.I.L. proponeva appello al Tribunale di Pavia, Sez. Lavoro, avverso la sentenza in data 8 novembre 1990, con la quale il Pretore della stessa città, in funzione di giudice del lavoro, aveva condannato lo stesso Istituto a corrispondere alla ricorrente Emilia Afferno la rendita di cui all'art. 85 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124. L'appellata, costituitosi, resisteva all'impugnazione. Il Tribunale, con sentenza in data 10 marzo 1992, dichiarava la nullità dell'intero giudizio promosso da Emilia Afferno, svolgendo le seguenti argomentazioni.

L'appellata ha eccepito all'udienza di discussione la nullità dell'atto d'appello sul rilievo che quest'ultimo era stato proposto dall'I.N.A.I.L. in persona del direttore di sede, senza la delega da parte del presidente, legale rappresentante dell'Ente, a norma dell'art. 2 del D.L. C.P.C. del 13 maggio 1947, n. 438.

Nelle controversie in materia di assistenza e previdenza obbligatoria è esclusa la sussistenza del potere di rappresentanza legale dell'I.N.A.I.L. in capo al direttore di una sede periferica dello stesso, ove a tale organo non sia stata conferita la delega prevista in relazione ad attività svolte nell'ambito della sede stessa (art. 2 quinto comma, del citato decreto).

Nel caso di specie "non solo nell'atto d'appello ma anche nella memoria di costituzione di primo grado l'I.N.A.I.L. ha agito in persona del direttore della sede di Pavia", al quale (e non già al presidente dell'Ente, presso la sede di Roma, a cui, come si è visto, è attribuita per legge la rappresentanza dell'istituto), è stato notificato dalla controparte il ricorso introduttivo del presente giudizio.

Ne consegue che, poiché non è in atti alcuna delega, non solo relativamente al caso di specie, ma neppure generale, del presidente dell'I.N.A.I.L., deve ritenersi sussistente il difetto di legittimazione processuale del direttore della sede di Pavia.

Difetto di legittimazione processuale e, quindi, di rappresentanza che, attenendo alla regolarità del contraddittorio, vale a dire all'efficacia costituzione del rapporto processuale, può e dev'essere rilevato anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Di qui l'inevitabile corollario che il rilievo di tale difetto non può essere limitato, come vorrebbe l'appellata, al solo ricorso in appello, ma opera necessariamente, pure in mancanza di un'espressa deduzione in proposito, anche in relazione al giudizio di primo grado, atteso il difetto d'immedesimazione organica tra il direttore della sede di Pavia, privo di delega, e l'ente pubblico.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l'Afferno, deducendo un unico, articolato, motivo.

Resiste con controricorso l'I.N.A.I.L, che propone altresì ricorso incidentale.

Motivi della decisione

1) Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi, trattandosi d'impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza, ex art. 335 C.P.C..

Con l'unico, articolato, motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione ex art. 360 n. 3 C.P.C., degli artt. 75, 442 C.P.C. e 2 D.L. C.P.S. 13 maggio 1947, n. 438. Deduce al riguardo che: la ratio decidendi della sentenza impugnata sembra oscillare tra il convincimento che l'intero giudizio sia nullo perché "anche nella memoria di costituzione di primo grado l'I.N.A.I.L. ha agito in persona del direttore della sede di Pavia" e l'opposta opinione che la nullità derivi dal fatto che il ricorso introduttivo (con il pedissequo decreto pretorile) sia stato notificato al direttore della sede di Pavia.

In ogni caso, l'erroneità della sentenza è manifesta. Infatti, se è vera la prima interpretazione il difetto di legitimatio ad processum del convenuto comporta soltanto la nullità degli atti da esso compiuti, ma non anche dell'intero giudizio.

Quand'anche, invece, fosse vera la seconda interpretazione, non si sarebbe tenuto conto che il ricorso di primo grado fu notificato a "I.N.A.I.L., sede provinciale, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, domiciliato in Pavia, piazza Municipio, n. 12; ciò significava che l'Afferno aveva convenuto in giudizio la persona giuridica I.N.A.I.L., in persona del suo legale rappresentante, cosicché risultava validamente costituito il rapporto processuale, con l'ulteriore conseguenza che costituiva fatto interno dell'Ente l'esercizio diretto della rappresentanza processuale dello stesso da parte del presidente, ovvero la delega di tale rappresentanza al direttore di sede.

Sempre secondo la ricorrente, il combinato disposto delle norme in questione (art. 2, comma terzo, decreto citato, e art. 442 C.P.C.) dimostra che l'attore in una controversia previdenziale può convenire l'I.N.A.I.L. notificando il ricorso alla sede sita nel capoluogo del circondario della sua residenza: ferma l'unicità della persona giuridica, la sede è certamente legittimata a ricevere le notifiche dirette all'Ente.

A tutto voler concedere, all'Afferno avrebbe potuto rimproverarsi non già di non aver convenuto l'I.N.A.I.L., ma solo di non averlo correttamente citato presso la sua sede legale in Roma: ma è evidente che tale vizio della notifica avrebbe dovuto essere oggetto di motivo di appello proposto dall'I.N.A.I.L. a mezzo del suo legale rappresentante, mentre l'atto d'appello non lamentava alcun vizio di notifica dell'atto introduttivo.

Il ricorso principale è fondato per le ragioni che seguono. E' opportuno premettere che nelle controversie promosse nei confronti dell'I.N.A.I.L. per il conseguimento di prestazioni assicurative, il ricorso introduttivo deve ritenersi validamente indirizzato e notificato al direttore della sede dell'istituto nel capoluogo della circoscrizione del tribunale ove si trovi la residenza dell'attore (e quindi il pretore competente ai sensi dell'art. 444 C.P.C.), anche se diversa dalla sede presso cui si è svolta la fase amministrativa, purché sia munito di ampia e generica delega del presidente, secondo le previsioni dell'art. 2 R.D.L. 6 luglio 1933 n. 1033 (nel testo fissato dal D.L. C.P.S. 13 maggio 1947, n. 438), idonea a conferirgli il potere di rappresentare l'istituto medesimo (v. ex multis S.U. 12 dicembre 1988 n. 6769).

Ciò premesso, è pacifico in punto di fatto, e comunque, la Corte ha accertato attraverso l'esame autonomo e diretto degli atti, essendosi denunciato un error in procedendo, che il ricorso di primo grado (con pedissequo decreto) risulta notificato a "I.N.A.I.L., sede provinciale, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, domiciliato in Pavia, Piazza Municipio n. 12".

Si condividono, pertanto, le osservazioni della ricorrente, secondo cui l'Afferno convenne in giudizio la persona giuridica I.N.A.I.L., in persona del suo legale rappresentante, intendendo per quest'ultimo la persona fisica del presidente residente in Roma, ove non fosse stata rilasciata la delega di cui sopra, ovvero il direttore della sede dell'istituto nel capoluogo della circoscrizione del tribunale ove si trovava la residenza dell'attrice (e quindi il pretore competente ai sensi dell'art. 444 C.P.C.), nella diversa ipotesi d'inesistenza della suddetta delega. Era, invero, fatto interno dell'Istituto, al quale l'Afferno era del tutto estranea, l'esercizio diretto della rappresentanza processuale del medesimo da parte del suo presidente, ovvero la delega di tale rappresentanza al direttore della sede.

Lo stesso art. 2, comma quinto, del citato regio decreto, prevedendo la possibilità di delegare per l'esercizio di particolari attribuzioni la legale rappresentanza dell'Istituto anche ai direttori delle sedi periferiche, conferma la legittima possibilità di convenire in giudizio l'I.N.A.I.L. notificando il ricorso di primo grado nel modo già evidenziato.

D'altra parte, non risulta che l'Afferno fosse edotta, prima della notifica in contestazione, dell'avvenuto rilascio della delega in questione al direttore della sede periferica, sicché avrebbe dovuto, in tal caso senza esitazione, far notificare l'atto allo stesso direttore, in quanto legalmente abilitato alla rappresentanza.

Vero è che nel primo grado del giudizio (v. memoria di costituzione) l'I.N.A.I.L. agì in persona del direttore della sede di Pavia, senza documentare l'avvenuto rilascio della delega, cosicché sia il Pretore sia il Tribunale lo avrebbero dovuto considerare irregolarmente costituito e quindi sostanzialmente contumace, premesso l'accertamento della regolare costituzione del rapporto processuale, come già messo in rilievo.

Al contrario, il Tribunale ritenne, erroneamente per quanto già osservato, che il ricorso di primo grado fosse stato notificato al direttore della sede di Pavia non munito della delega, e quindi irregolarmente, con la conseguente insanabile nullità del rapporto processuale.

Avrebbe dovuto, invece il Giudice d'appello ritenere inammissibile il solo atto d'appello, in quanto inficiato da nullità, proprio perché proposto dall'I.N.A.I.L. in persona del direttore di sede senza la delega da parte del presidente.

In particolare, non poteva ritenersi tardiva l'eccezione di nullità di tale atto, sollevata dall'appellata Afferno all'udienza di discussione di secondo grado, atteso che il Pretore avrebbe dovuto considerare sostanzialmente contumace l'I.N.A.I.L., mentre l'inammissibilità dell'appello, proposto dal direttore della sede di Pavia non munito di delega, in quanto conseguiva alla nullità assoluta del rapporto tra le parti per difetto di legittimazione processuale (art. 75 C.P.C.), poteva e doveva essere rilevata anche d'ufficio del Tribunale. Ciò per rispondere ad un'osservazione svolta dal difensore dell'I.N.A.I.L. nel corso della discussione orale della causa in questa sede.

2) Il ricorrente incidentale denunzia a sua volta violazione e falsa applicazione degli artt. 75, 112, 115 e 444 C.P.C.; in relazione all'art. 360, n.ri 3 e 5 C.P.C..

Deduce al riguardo che: il Tribunale avrebbe potuto far ricorso al secondo comma dell'art. 115 C.P.C., a mente del quale il giudice può porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza; infatti, è notorio che i direttori delle sedi provinciali operano e agiscono in virtù di delega agli stessi rilasciata dal presidente dell'Istituto; inoltre, il Tribunale ben avrebbe potuto, con il conforto dell'art. 182 C.P.C., assegnare un termine per la produzione della delega, la quale, nello spiegare efficacia ex tunc, avrebbe reso regolare sin dall'inizio la costituzione del locale direttore della sede dell'Istituto, permettendo cosi il naturale svolgimento del rapporto processuale; infine, riproducono copia autentica delle delibere n. 209 del 18 dicembre 1986, con la quale il Presidente dell'I.N.A.I.L. ha confermato la delega n. 169 del 4 giugno 1974, relativa agli atti di amministrazione e dell'esercizio dell'assicurazione in sede amministrativa e giudiziale e n. 144 del 13 dicembre 1990, con la quale lo stesso presidente ha conferito ai dirigenti delle sedi la delega della rappresentanza legale dell'Ente per tutto quanto riguarda in sede amministrativa ed in sede giudiziale gli atti di amministrazione e l'esercizio dell'assicurazione di pertinenza delle rispettive circoscrizioni.

Il ricorso incidentale è infondato.

Invero, non può invocarsi l'applicazione dell'art. 115 C.P.C. a favore del ricorrente incidentale.

Perché in fatto sia notorio, ai fini del diritto, occorre innanzi tutto che esso abbia una distinta identità storica che s'imponga all'osservazione o alla percezione della collettività, in modo che questa ne compia, per suo conto, la valutazione critica, sicché al giudice non resti che constatarne gli effetti, e valutarlo soltanto ai fini del diritto, e cioé, delle conseguenze giuridiche (Cass. 1° gennaio 1987, n. 4825).

In secondo luogo, occorre ch'esso sia di comune conoscenza, anche se soltanto nel luogo dove è invocato agli effetti giuridici o perché entrato a far parte della cultura media della collettività ivi stanziata, ovvero perché le sue ripercussioni siano ampie e immediate al punto che la collettività ne faccia esperienza comune anche in vista della sua incidenza sull'interesse pubblico, che spinge ciascuno dei componenti la collettività, vivente nel luogo dove esso si verifica, a conoscerlo.

Soltanto se tali presupposti si verificano, al giudice è consentito fare e meno delle prove, potendo egli stesso valersi della conoscenza che del fatto divenuto notorio acquista al di fuori del processo (Cass. 22 febbraio 1964, n. 382; 29 gennaio 1988, n. 829).

Ciò premesso, non si vede, alla stregua delle emergenze processuali, come l'asserito, frequente, rilascio di deleghe da parte del presidente dell'I.N.A.I.L. ai direttori di sedi periferiche, quale fatto che riveste una distinta identità storica, potesse imporsi all'osservazione o alla percezione della collettività, nel luogo e all'epoca dei fatti di causa. Né s'individuano elementi probatori atti a sorreggere il convincimento che tale fatto, in quel di Pavia, fosse di comune conoscenza, nel senso già precisato, tenuto conto altresì che trattasi pur sempre di prassi burocratiche, le quali, proprio per la loro intrinseca natura, non possono essere agevolmente percepite da persone estranee all'ambiente in cui esse si diffondono.

Quanto poi alla mancata assegnazione di un termine per l'acquisizione della delega in discussione, si ricorda che tale regolarizzazione prevista dal citato art. 182, comma secondo, C.P.C. con riferimento alla fase istruttoria, si ricollega ad un potere discrezionale del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità (ex multis Cass. Sez. I 29 aprile 1992, n. 5146).

Infine, devesi stabilire se possa reputarsi ammissibile il deposito in questo giudizio di cassazione dei documenti indicati dall'I.N.A.I.L. nel motivo di censura in esame, racchiudenti, secondo il suo assunto; la delega richiesta dalla legge; e ciò avuto riguardo al disposto dell'art. 372, comma primo, C.P.C..

Secondo un orientamento giurisprudenziale non recente (tra le varie conformi, Cass. Sez I 27 gennaio 1967, n. 229; Sez. I 16 gennaio 1981 n. 52) l'art. 372 C.P.C., nel consentire la produzione di documenti nuovi nel giudizio di cassazione, fa riferimento ai casi di nullità della sentenza impugnata e di ammissibilità del ricorso e del ricorso e del controricorso, non già alla questione di legittimazione ad processum che sia fondata sulla stessa situazione processuale già esistente nelle fasi di merito.

Secondo un altro orientamento piuttosto recente (Cass. Sez. II 5 giugno 1987 n. 4893 ed altre), la "legitimatio ad processum, riferita alla capacità delle parti di stare in giudizio, in proprio o con la debita rappresentanza, assistenza o autorizzazione, costituisce un presupposto processuale che attiene alla regolare costituzione del rapporto processuale e l'accertamento della sua esistenza o della sua mancanza può essere compiuto in ogni stato e grado del processo, sinanche in sede di legittimità, con il solo limite della formazione del giudicato che preclude la proposizione o riproposizione della relativa questione. Pertanto, la produzione dell'atto o documento da cui risulta la sussistenza di detta legittimazione ha l'effetto di sanare retroattivamente le irregolarità che inficiano i precedenti gradi del giudizio e non è assoggettata alle preclusioni, anche di ordine cronologico, riguardanti l'acquisizione del materiale probatorio occorrente per decidere la causa nel merito.

Tuttavia, numerose pronunce (Cass. Sez. I 6 dicembre 1977, n. 5284; 15 dicembre 1980, n. 6490; 12 giugno 1971 n. 1810) puntualizzano che il principio secondo cui la deliberazione del consiglio comunale di ratifica della precedente delibera della Giunta, che aveva autorizzato in via d'urgenza il sindaco a stare in giudizio, ancorché prodotta per la prima volta in Cassazione, vale a sanare retroattivamente le irregolarità che, a causa della sua mancanza, hanno inficiato i precedenti gradi del giudizio, non opera quando i giudici di merito abbiano già rilevato la mancanza del presupposto processuale, traendone le debite conseguenze in ordine alla validità dell'atto compiuto in mancanza della delibera.

Ciò premesso, si condivide il principio come sopra puntualizzato (ancorché non trattisi nella fattispecie di deliberazione di ratifica del consiglio comunale).

Invero, pur volendosi estendere l'ambito di applicazione della norma contenuta nell'art. 372 C.P.C., secondo cui la produzione in sede di legittimità di atti o documenti è ammessa soltanto nei casi in cui gli stessi riguardano la nullità della sentenza impugnata e l'ammissibilità del ricorso e del controricorso, tale produzione nel presente giudizio di cassazione, prescindendo dalla questione oggetto del ricorso principale, risulterebbe idonea a provocare l'annullamento della sentenza impugnata, benché questa sul punto abbia rettamente statuito ritenendo invalidi gli atti compiuti, in quanto comunque non provata la legittimazione processuale del direttore della sede periferica dell'INAIL. Sembra, cioé, giuridicamente inconcepibile l'annullamento della predetta sentenza - corretta al riguardo -; annullamento che verrebbe pronunciato unicamente al fine di porre riparo a un'omissione della parte interessata, che avrebbe potuto e dovuto, come nel caso in esame, produrre gli atti de quibus (deleghe) in uno dei due gradi del giudizio di merito.

Concludendo, per quanto osservato, in accoglimento del ricorso principale, va cassata senza rinvio la sentenza impugnata, mentre va rigettato il ricorso incidentale.

La peculiarità della fattispecie decisa, resa altresì complessa dalla giurisprudenza citata, non del tutto univoca, giustifica la totale compensazione delle spese del presente giudizio e di quello d'appello (art. 92, comma secondo, C.P.C.).

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; in accoglimento del ricorso principale, cassa senza rinvio la sentenza impugnata, rigetta il ricorso incidentale, dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione e quella del giudizio di appello.

Così deciso in Roma il 30 marzo 1994.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 11 GENNAIO 1995