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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19225 - pubb. 11/01/2018.

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Cassazione civile, sez. I, 28 Agosto 1995. Est. Bibolini.

Fallimento - Giudice delegato - Poteri - Autorizzazione a promuovere un'azione giudiziale - Difetto - Sanatoria - Ammissibilità - Limiti


L'autorizzazione a promuovere un'azione giudiziale ex art, 25 n. 6 legge fall. quale condizione di efficacia dell'attività processuale della curatela, non deve necessariamente contenere la specifica menzione di tutte le possibili pretese ed istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento del previsto obiettivo cui il giudizio si riferisce, essendo sufficiente il riferimento al contenuto essenziale del giudizio da promuovere. Il difetto di autorizzazione, essendo attinente all'efficacia dell'attività processuale nell'interesse esclusivo del fallimento procedente, è suscettivo di sanatoria (nella specie, mediante l'autorizzazione al giudizio di appello) anche con effetto "ex tunc", sempre che l'inefficacia degli atti non sia stata già accertata e sanzionata dal giudice. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I


Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Michele CANTILLO Presidente

" Giovanni OLLA Consigliere

" Gian Carlo BIBOLINI Rel. "

" Vincenzo PROTO "

" M. Rosario MORELLI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Tra la s.p.a. FORD ITALIANA e la s.r.l. Giorgio Garbin e C., esisteva un contratto, stipulato il 3 maggio 1976 e registrato il 7 luglio 1976, denominato "accordo di concessione", con cui la prima società aveva attribuito alla seconda la qualifica di venditore autorizzato di veicoli FORD e di relative parti di ricambio. La Ford, con telex e lettera in data 19 settembre 1983, aveva manifestato la volontà di risoluzione del rapporto a causa di asserite inadempienze della concessionaria, avvalendosi della clausola risolutiva espressa.

In data 26 ottobre 1983 il Tribunale di Varese dichiarava il fallimento della s.r.l. Giorgio Garbin e C.

Al momento della dichiarazione di fallimento erano pendenti, in varie fasi, controversie giudiziali di natura cautelare della Ford nei confronti della sua concessionaria, controversie così individuabili:

A) a seguito di sequestro giudiziario autorizzato dal Presidente del Tribunale di Varese con decreto del 3 ottobre 1983 su veicoli assertivamente non pagati dalla concessionaria, e di cui la Ford Italiana si dichiarava proprietaria in base a patto di riservato dominio, la stessa s.p.a. Ford Italiana aveva eseguito il provvedimento su 23 veicoli in data 20 ottobre 1983 e contemporaneamente aveva citato la concessionaria per la convalida; lo stesso giorno aveva sottoposto a sequestro altro veicolo e della circostanza aveva dato notizia alla curatela solo il giorno 8 novembre 1983; la Ford Italiana, inoltre, avvalendosi dell'autorizzazione concessale ex art. 685 c.p.c., aveva venduto i veicoli sequestrati.

B) In virtù di un secondo decreto di sequestro concesso il 6 ottobre 1983, la Ford Italiana in data 20 ottobre 1983 sottoponeva a sequestro giudiziario anche parti di ricambio, senza provvedere, peraltro, prima del fallimento, agli incombenti dell'art. 680, I co., c.p.c. ed inoltre, tra il 21 ed il 27 ottobre 1983 sottoponeva a sequestro giudiziario veicoli che si trovavano presso terzi acquirenti e dell'avvenuta esecuzione del provvedimento era data comunicazione alla curatela fallimentare con atti notificati il dì 8 novembre 1983. In relazione a quindici autovetture sequestrate presso terzi acquirenti, le parti erano addivenute ad una transazione, transazione in base alla quale i terzi ottenevano l'intestazione dei veicoli previo versamento della somma globale di L. 74.071.930, somma che per L. 18.958.400 era attribuita definitivamente al fallimento e per L. 55.113.530 era rimessa alla FORD con riserva da parte della curatela di promuovere un giudizio per ottenere la consegna di tale importo; nello stesso accordo transattivo la FORD era autorizzata a vendere i veicoli sequestrati presso terzi che non avevano aderito all'accordo, e ciò a sue spese e rischio e salva ripetizione da parte del fallimento.

All'atto della dichiarazione di fallimento (26 ottobre 1983), quindi, la curatela trovava le seguenti situazioni in corso;

1) un procedimento di convalida di sequestro relativo a veicoli sequestrati presso la concessionaria in virtù di decreto autorizzativo in data 3-10-1983, veicoli già venduti dalla FORD Italiana;

2) un sequestro eseguito, ma senza gli adempimenti dell'art. 680 c.p.c., relativo ad una vettura inerente al primo provvedimento cautelare sopra indicato ed altro sequestro eseguito sempre presso il concessionario su parti di ricambio in base a decreto del 6 ottobre 1983, sequestro che si trovava nella stessa situazione giuridica;

3) operazioni di sequestro presso terzi che erano state oggetto della transazione tra la curatela e la Ford Italiana, con l'intervento di alcuni terzi che avevano accettato di pagare un'ulteriore somma.

Con atto di citazione notificato il 16 novembre 1984 la curatela del fallimento sopra indicato conveniva davanti al Tribunale di Varese la s.p.a. FORD ITALIANA, chiedendo che fossero dichiarati inefficaci nei confronti del fallimento i due sequestri autorizzati dal Presidente del Tribunale di Varese rispettivamente in data 3 e 6 ottobre 1983, con ogni conseguente provvedimento in ordine al possesso dei beni che ne erano oggetto, e delle somme ricavate, che previa, se del caso, revoca della risoluzione contrattuale unilaterale operata dalla FORD, dichiarasse l'inefficacia, l'invalidità ed in ogni caso l'inopponibilità al fallimento del patto di riservato dominio e condannasse la FORD alla restituzione degli importi incassati a seguito della vendita dei veicoli e delle parti di ricambio sequestrate presso la Garbin per un importo non inferiore a L. 277.791.021, nonché delle somme di L. 55.113.530 e di L. 70.221.560 conseguenti ad operazioni riflesse nell'accordo transattivo citato.

Si costituiva la FORD che eccepiva preliminarmente l'incompetenza territoriale del Tribunale adito, competente essendo il Tribunale di Roma, e che si opponeva nel merito alle richieste attoree. In data 14 settembre 1985 interveniva ina causa volontariamente la s.p.a. Lombard Leasing S. Marco la quale, premesso di avere acquistato dalla Garbin, in data 6 luglio 1983, un veicolo FORD TRANSIT per un prezzo che aveva interamente pagato, veicolo che aveva concesso in usufrutto il 14 luglio 1983 ad un terzo e che non era stato possibile immatricolare non avendo, ne' la Garbin, ne' la Ford consegnato la relativa documentazione; premesso, inoltre, che il veicolo era stato sottoposto a sequestro in data 21 ottobre 1983 in base al decreto 3 ottobre 1983 del Presidente del tribunale di Varese; tanto premesso, eccepiva l'inefficacia del sequestro sia perché la FORD non aveva notificato ad essa, che era l'unica proprietaria del veicolo, il verbale di sequestro ne' l'aveva citata per la convalida, sia perché l'esecuzione della misura cautelare nei confronti della Garbin era avvenuta quando la stessa era già stata dichiarata fallita, sia perché la clausola di riserva di proprietà non le era opponibile perché non trascritta e perché, non essendo ancora immatricolati i veicoli e non individuati, la clausola era inoperante rispetto a vendite di bei di genere.

Il Tribunale di Varese, pronunciando con sentenza 4 ottobre 1988, così decideva:

I ) previo rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale, dichiarava inefficaci i sequestri giudiziari autorizzati dal Presidente del Tribunale di Varese;

II ) dichiarava inefficace nei confronti del fallimento il patto di riservato dominio contenuto nell'accordo di concessione, in quanto applicato alle vetture sequestrate ed ai pezzi di ricambio;

III ) condannava la FORD ITALIANA a versare alla curatela l'importo di L. 348.886.425, somma da rivaluare secondo gli indicici ISTAT della svalutazione monetaria calcolata dal 1 novembre 1983, oltre agli interessi legali sulla somma non rivalutata dalla stessa data al saldo;

IV ) respingeva le istanze dell'intervenuta e le ulteriori istanze della curatela;

V ) condannava la FORD al pagamento delle spese di causa a favore della curatela, mentre compensava le spese tra la FORD e l'intervenuta.

Su appello della FORD ITALIANA, ed appello incidentale della curatela e dell'intervenuta Lombard Leasing, pronunciava la Corte d'Appello di Milano che, con sentenza n. 1044-92, in accoglimento dell'appello incidentale del fallimento ed in parte dell'appello principale della FORD, elevava da L. 348.886.425 a L. 403.126.111 l'importo dovuto dalla FORD alla curatela fallimentare, limitando, peraltro, la rivalutazione solo all'importo di L. 348.012.581;

rigettava nel resto l'appello principale e quello incidentale della Lombard Leasing San Marco.

In particolare, sulle questioni che diverranno oggetto del giudizio di legittimità, la Corte di Milano assumeva le seguenti decisioni.

AA) IN ORDINE ALLA QUESTIONE DI COMPETENZA TERRITORIALE. L'incompetenza territoriale era dedotta dalla Ford essenzialmente in base alla clausola 59) della scrittura di concessione di vendita, che attribuiva al Tribunale di Roma la competenza a conoscere delle controversie relative alla "esecuzione e alla interpretazione del contratto".

Rileva sul punto la Corte del merito:

a) che la curatela aveva proposto un'azione revocatoria fallimentare nei confronti della FORD (si riferisce evidentemente alla proposta revoca della risoluzione contrattuale), azione che radicava la competenza del Tribunale fallimentare (Varese ex art. 24 L.F.) e che estendeva detta competenza, a norma dell'art. 104 c.p.c., alla pretesa di attribuzione delle somme sotto il diverso e concorrente profilo dell'invalidità, inefficacia ed inopponibilità del patto di riservato dominio.

b) Escludeva che l'azione revocatoria fosse stata proposta in maniera puramente strumentale per deviare la competenza territoriale convenzionale, e ciò sia perché dette situazioni non erano state oggetto di rilievo specifico da parte dell'appellante principale, sia perché in linea di principio quand'anche la riserva di proprietà fosse non opponibile, la curatela non potrebbe far valere la pretesa sui veicoli, o il loro valore, se non venisse preliminarmente respinta la risoluzione ex art. 1456 c.c., in quanto se la risoluzione fosse valida, i beni sarebbero già rientranti nella disponibilità della FORD prima del fallimento, indipendentemente dal fatto che vi fosse, o non, riserva di proprietà opponibile;

c) Ad ogni buon conto la clausola ex art. 59 del contratto ha valore tra le parti, mentre il giudizio relativo alla inefficacia ed all'inopponibilità della riserva di proprietà, è stato proposto dalla curatela come terza e costituisce un'azione che deriva dal fallimento e che la Garbin non avrebbe potuto fare valere in assenza della procedura concorsuale;

d) La materia relativa, infine, alla richiesta inefficacia dei sequestri (l'uno perché il giudizio di convalida proposto non è stato riassunto, l'altro per mancata proposizione della convalida), esula dal contenuto della clausola n. 59 citata e la competenza ad accertare l'estinzione del processo, nei casi previsti dall'art. 305 c.p.c., si radica nel giudice davanti al quale il giudizio doveva essere riassunto (il Tribunale di Varese).

BB) Sull'eccezione della FORD secondo cui la materia dei sequestri non era più materia controversa, in quanto superata dalla transazione intervenuta proprio con la curatela, la Corte del merito riteneva;

a) premesso che la domanda originaria della curatela concerneva specificamente l'inefficacia del primo sequestro per mancata riassunzione del giudizio di convalida, riteneva che oggetto della definizione transattiva fosse la sistemazione dei rapporti tra la curatela e la FORD da una parte, e la posizione dei terzi acquirenti dall'altra. La definizione del rapporto tra curatela e fallimento era parziale, non definitiva, attenendo solo agli acquirenti da parte dei terzi, salva ogni azione restitutoria da parte del fallimento. Non si poteva ritenere che l'accordo delimitasse le azioni esperibili dal fallimento, per il solo fatto che nelle premesse si faceva riferimento alle questioni insorte in ordine all'opponibilità al fallimento del riservato dominio, in quanto la curatela, riservandosi le azioni esperibili, non ha fatto alcuna rinuncia alle azioni di uno, piuttosto che di altro tipo. L'esperibilità, quindi, dell'azione volta a fare dichiarare l'inefficacia del primo sequestro per mancata riassunzione non poteva ritenersi costituisse uno dei punti definiti con la transazione, in quanto si trattava di effetti verificatisi successivamente alla transazione stessa.

CC) In punto "qualificazione del contratto di concessione di vendita" ed in relazione alla supposta riserva di proprietà, che la FORD ritiene non individuabile in un contratto di cui si sostiene la atipicità, la Corte milanese ha rilevato che le clausole da porre in risalto sono quelle N. 28 (intitolata: pagamento dei veicoli, patto di riservato dominio) concernente specificamente i veicoli, nonché la clausola 30 (intitolata: pagamento delle parti di ricambio originali e patto di riservato dominio), relativa ai ricambi. a) In ordine ai ricambi la Corte del merito pone in rilievo che la relativa clausola, a differenza di quanto disposto per i veicoli, non prevede per il concessionario la detenzione con l'obbligo di custodire e di non utilizzare, mentre l'art. 34 pone a carico del concessionario il rischio delle perdite dei ricambi o dei danni. Tanto basta per escludere che il riservato dominio concernente i ricambi si distingua dalla fattispecie dell'art. 1523 e ss. cc.. b) Per quanto attiene ai veicoli, il fatto che gli stessi dovessero essere necessariamente accettati dal concessionario ne' potessero essere restituiti perché egli fosse obbligato a pagarne il prezzo e ad acquisirne la proprietà con il pagamento, denota che il trasferimento della proprietà avveniva con il puro e semplice fatto del pagamento del prezzo senza bisogno di ulteriori pattuizioni tra le parti. Quindi, il patto attiene, in tesi, ad un contratto perfezionato ed idoneo a comportare il trasferimento della proprietà con il semplice pagamento del prezzo, integrando con ciò la fattispecie dell'art. 1523 c.c.. c) Il tribunale ritenne che il contratto tra Ford e Garbin costituisse un contratto di somministrazione con esclusione di una pluralità di contratti ad ogni consegna di veicoli, ma di un unico contratto, con prestazioni ripetute nel tempo.

Così configurato, il patto di riservato dominio inserito in un rapporto di scambio, ha piena efficacia tra le parti, ma per essere opponibile ai terzi richiede, sia l'individuazione dei singoli beni con scrittura cui il patto si riferisce, sia la data certa della scrittura che riferisce il patto al singolo bene individuato. Al fine non costituiscono atto scritto idoneo le fatture emesse dalla Ford nei confronti della Garbin, non essendo esse atti scritti di data certa provenienti dall'acquirente. Nè è idoneo il contratto originario, il quale aveva data certa con la registrazione, ma era carente dell'individuazione dei singoli beni cui il patto potesse riferirsi.

DD) Esaminando il motivo di appello incidentale della curatela, la Corte d'Appello di Milano, ritenne, contrariamente al Tribunale, che tre autovetture individuate attraverso i numeri di telaio fossero comprese nell'accordo transattivo già indicato e che il valore delle parti di ricambio sequestrate non ammontasse a poco più di un milione di lire, ma all'importo superiore ai venti milioni. Riconosceva, quindi, alla curatela un credito di maggiore importo rispetto a quanto liquidato dal Tribunale.

EE) Sulla contestazione della FORD, la quale si doleva del riconoscimento da parte del tribunale della rivalutazione automatica sull'intera cifra riconosciuta, riteneva la Corte del merito che alla parte della somma derivante dalla transazione, essendo essa quantificata nell'atto di transazione medesima, dovesse essere riconosciuta la natura di credito di valuta alla quale non applicare la rivalutazione automatica. Gli altri importi, costituiti dalle vetture e dai ricambi oggetto di sequestro anche presso terzi, il fallimento, in assenza di patto di riservato dominio o di sua inopponibilità, avrebbe avuto il diritto di acquisire i beni, per cui gli importi riconosciuti, quale controvalore dei beni sequestrati e venduti dalla FORD, costituivano per il fallimento credito di valore con possibilità di rivalutazione automatica.

FF) Riteneva la Corte la legittimazione all'intervento della Lombard leasing, in quanto la stessa era intervenuta per fare valere nei confronti di una delle parti, ai sensi dell'art. 105 c.p.c., un diritto relativo all'oggetto e dipendente dal titolo dedotto nel giudizio.

GG) Rigettava, peraltro l'appello della LOMBARD LEASING sul presupposto, già rilevato dal Tribunale di Varese, che la posizione del fallimento prevale su quella del terzo acquirente di buona fede e che nessuna ragione di danno la stessa poteva vantare nei confronti della FORD, in quanto il pregiudizio subito conseguiva alla posizione del fallimento sul bene, indipendentemente dalla condotta assunta dalla FORD ITALIANA.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione la s.p.a. Ford Italiana sulla base di sei motivi integrati da memoria; depositava controricorso la curatela del fallimento della s.r.l. Giorgio Garbin e C; non esplicava attività processuale l'intimata s.p.a. Lombard Leasing S. Marco.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ) Con il primo mezzo di cassazione la ricorrente si duole della soluzione data dalla Corte milanese alla questione di competenza, deducendo la violazione degli artt. 28, 104 c.p.c., 24 e 67 L.F., in relazione all'art. 360 n. 2 c.p.c., oltre ad omessa ed insufficiente motivazione circa un punto essenziale della controversia ex art. 360 n. 4 c.p.c. Affrontando le argomentazioni svolte dalla Corte del merito sulla questione di competenza, la ricorrente deduce:

AAA) SULLA COMPETENZA TERRITORIALE SOTTO IL PROFILO DELLA VIS ACTRACTIVA DELLA AZIONE REVOCATORIA PROPOSTA CONTRO L'ATTO UNILATERALE DI RISOLUZIONE DEL CONTRATTO:

a) difetto della legittimazione processuale della curatela a proporre l'azione revocatoria, sulla base della genericità dell'autorizzazione del giudice delegato, concernente tutte le azioni utili al fallimento. Sul punto la motivazione della Corte di Milano è generica e come tale viziata.

b) Detta azione non era qualificabile come revocatoria fallimentare ex art. 67 L.F., in quanto non aveva ad oggetto un atto del fallito o del quale il fallito fosse partecipe, ma un atto unilaterale di risoluzione della Ford.

c) Non è stata fatta corretta applicazione dell'art. 104 c.p.c., in quanto tale norma non è applicabile quando una delle azioni proposte sia riservata alla competenza di un determinato giudice in virtù della specifica pattuizione.

BBB) SULLA QUALITÀ DI TERZO DEL FALLIMENTO;

La posizione di terzo del fallimento rispetto al contratto di concessione ed alla clausola di previsione della competenza, viene contestata dalla ricorrente in quanto le azioni esperite dalla curatela avrebbero potuto essere esercitate anche dalla società fallita prima e fuori del fallimento.

CCC) SULLA COMPETENZA IN RELAZIONE ALLE DOMANDE RELATIVE AI PROCEDIMENTI DI SEQUESTRO.

In ordine alla domanda volta alla dichiarazione di inefficacia dei sequestri, rileva la ricorrente che la determinazione della competenza sul merito è pregiudiziale rispetto a quella per la convalida, non viceversa, ed inoltre che non ricorre ipotesi di connessione idonea ad incidere sulla competenza a conoscere di una diversa azione convenzionalmente attribuita a quella esclusiva del Foro di Roma.

I punti che vengono posti in discussine in sede di legittimità, sia pure nell'articolazione dei vari argomenti, sono essenzialmente due; uno attinente alla efficacia degli atti processuali promossi dalla curatela nel giudizio di primo grado, in relazione al tenore dell'autorizzazione concessa dal giudice delegato, altro relativo alla competenza del Tribunale di Varese.

In ordine al primo punto, si rileva che l'autorizzazione a promuovere un'azione giudiziale ex art. 25 n. 6 L.F., quale condizione di efficacia dell'attività processuale della curatela, non deve necessariamente contenere la specifica menzione di tutte le possibili pretese ed istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento del previsto obiettivo cui il giudizio si riferisce, essendo sufficiente definizione il riferimento al contenuto essenziale del giudizio da promuovere. Si ritiene, d'altra parte, che il difetto di autorizzazione, proprio perché attinente all'efficacia dell'attività processuale nell'interesse esclusivo del fallimento procedente, sia suscettiva di sanatoria anche con effetto ex tunc, sempre che l'inefficacia degli atti non sia stata già accertata e pronunciata dal giudice con la relativa sanzione.

Sotto entrambi i profili indicati, l'autorizzazione alla promozione del giudizio, sia pure in premessa di una estrema, e non sempre apprezzabile, concisione, non è priva di efficacia, sia perché il testo letterale del provvedimento acquista significato e concretezza se letto in relazione alla domanda della curatela che, con riferimento ad uno studio di situazioni in precedenza conferito ed ad un atto di citazione già predisposto, indica i soggetti coinvolti ed il tenore delle situazioni controverse per le quali si intendeva chiedere una tutela giurisdizionale, sia perché, comunque, la successiva autorizzazione per il giudizio di appello assumeva una funzione ratificante dell'operato processuale svolto. La seconda questione, in relazione alla dedotta incompetenza "ratione territorii", si fonda essenzialmente sulla clausola 59) dell'accordo di concessione secondo cui, come ricorda la sentenza della Corte del merito, "la decisione di qualsiasi controversia che riguardi l'adempimento o la interpretazione del presente contratto sarà affidato esclusivamente alla autorità giudiziaria di Roma". Si tratta, quindi, di una deroga convenzionale alla competenza territoriale che indubbiamente vincola le parti di quel rapporto, non necessariamente i terzi i quali, in virtù di quel rapporto e degli atti di esecuzione, vantino diritti nei confronti di una delle parti. Il quesito fondamentale che la questione di competenza propone, quindi, attiene alla posizione del fallimento nei confronti del contratto di concessione di vendita stipulato dalla s.p.a. FORD ITALIANA e dalla fallita s.r.l. GIORGIO GARBIN e C; si tratta di valutare, in definitiva, in relazione all'azione esercitata ed alle domande proposte, se rispetto a quel rapporto negoziale l'attore si poneva come parte o come terzo, ed inoltre se alcuna delle domande derivava direttamente dalla situazione fallimentare, coinvolgendo la competenza funzionale del tribunale fallimentare, oppure no. Le domande formulate dalla curatela erano le seguenti:

1) la non opponibilità al fallimento del patto di riservato dominio, sia per ragioni intrinseche legate al tipo di contratto cui inerisce, sia per insussistenza di certezza di data; conseguente la domanda di inefficacia, invalidità ed in ogni caso di inopponibilità al fallimento del patto di riservato dominio contenuto nell'accordo di concessione in data 3 maggio 1976 e registrato il 7 luglio 1976.

2) La revocabilità della risoluzione di diritto operata dalla s.p.a. FORD ITALIANA, in quanto atto a titolo oneroso, nella consapevolezza della FORD stessa dello stato di insolvenza del debitore.

3) L'inefficacia del sequestro conservativo in data 3 ottobre 1983 per intervenuta estinzione, in quanto non riassunto dopo la dichiarazione di interruzione e del sequestro 6 ottobre 1983 per non essere stato instaurato il giudizio per la convalida e per il merito. La domanda sub 1), avrebbe potuto essere proposta indubbiamente anche prima della dichiarazione di fallimento, come sostenuto dalla ricorrente; peraltro non dalla società contraente, ma dai suoi creditori. Ed invero il riferimento alla necessità della forma documentale del patto (non necessaria per l'efficacia tra le parti), e la richiesta inopponibilità per mancanza di certezza di data anteriore al fallimento, richiamano la fattispecie dell'art. 1524 c.c. che disciplina al comma I proprio la posizione dei creditori del compratore con riserva.

La curatela, quindi, avendo formulato detta domanda quale portatrice degli interessi della massa passiva fallimentare, si poneva, rispetto al contratto fondamentale invocato dalla FORD ITALIANA, quale terzo, non vincolato dalla indicata clausola 59) del contratto di concessione di vendita; si poneva, inoltre, come terzo tendente a soddisfare le proprie ragioni creditorie nei confronti della s.r.l. Giorgio Garbin e C. sui beni patrimoniali di cui la s.p.a. FORD ITALIANA aveva disposto, per cui veniva esercitata un'azione tipicamente connessa all'essenza della procedura concorsuale che trovava fonte proprio nella situazione fallimentare della c.d. concessionaria di vendita.

In ordine alla pretesa sopra indicata sub 2), appare indubbio che la curatela intese proporre una tipica azione revocatoria fallimentare di un atto giuridico pregiudizievole per la massa concorrente dei creditori, avendo enunciato le componenti oggettive e soggettive di una delle ipotesi di detta azione (quella dell'art. 67 comma 1 n. 1 L.F.). Si trattava, quindi, di una tipica azione fallimentare attratta nella competenza del Tribunale di Varese, quale tribunale fallimentare secondo la formulazione della domanda in base alla quale deve determinarsi la competenza, esulando da questa disamina su situazione pregiudiziale ogni questione relativa alla sua fondatezza.

In ordine alle situazioni sub 3), la pronuncia della Corte del merito, secondo cui le controversie relative all'efficacia dei sequestri concernevano materia del tutto diversa da quella contemplata dalla clausola n. 59) del contratto di concessione, costituisce accertamento di fatto che, congruamente motivato, non è suscettivo di diverso esame in sede di legittimità.

Ciascuna delle domande formulate, quindi, anche isolatamente considerata, non veniva attratta dalla clausola sulla competenza convenzionale contenuta nel contratto dedotto in giudizio dalla FORD ITALIANA; e poiché l'eccezione di incompetenza è stata formulata essenzialmente con riferimento a detta clausola negoziale, deve ritenersi non meritevole di censura la pronuncia sul punto della Corte d'Appello di Milano che ha confermato la competenza del Tribunale di Varese, originariamente adito, anche al di là, ed al di fuori, del richiamo della disciplina dell'art. 104 c.p.c., pur tuttavia applicabile nel caso di specie.

II ) Con il secondo motivo la FORD ITALIANA deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1322, 1362, 1363, 1523 ss. 1559 ss. cc. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.. Il motivo coglie il punto della sentenza in cui la Corte milanese, aderendo alla qualificazione del contratto di concessione di vendita come situazione negoziale retta essenzialmente dalla disciplina della amministrazione, ha ritenuto che le clausole n. 28) e 30) del contratto individuassero patti di riservato dominio, relativi rispettivamente alle autovetture non ancora immatricolate ed alle parti di ricambio per autoveicoli.

La ricorrente sostiene che, considerandosi le varie funzioni e prestazioni dedotte nel contratto, si dovrebbe individuare nel negozio una fattispecie atipica caratterizzata da un'attività di cooperazione volta ad una presenza organica e coordinata sul mercato dell'automobile, in cui l'effetto traslativo, pur presente, non si inserirebbe come funzione essenziale e qualificante. Si individuerebbe, quindi, una causa contrattuale diversa da quella di un semplice contratto di scambio, le cui finalità avrebbero potuto essere conseguite con situazioni miste della vendita, del contratto estimatorio, del mandato a vendere, del deposito e attraverso figure contrattali connotate dalla funzione di custodia. In questo ambito le clausole N. 28 e 30 del contratto, esprimerebbero l'essenza del rapporto intercorso tra le parti in una fattispecie a formazione progressiva nella quale, come principio generale e costante, la proprietà non passerebbe se non attraverso il pagamento contestuale o preventivo del prezzo.

Il senso della doglianza deve essere inquadrata nell'oggetto essenziale della controversia. La posizione dell'attore originario era volta alla acquisizione all'attivo fallimentare dei beni che si trovavano nella disponibilità della società fallita al momento dell'apertura della procedura concorsuale (disponibilità non alterata dalla funzione cautelare dei provvedimenti di sequestro anteriormente emessi), in applicazione del principio emergente dall'art. 513 c.p.c. (che radica una presunzione di appartenenza all'imprenditore dei beni esistenti nell'azienda del fallito) e che trova nel fallimento la correlata applicazione negli artt. 84 e ss. L.F.. In virtù di detta impostazione, si supponeva che la prova contratta spettante al terzo rivendicante la proprietà dei beni derivasse dal patto di riserva di proprietà, se ed in quanto opponibile alla curatela.

Con l'argomentazione inerente alla qualificazione del contratto di concessione, la ricorrente intende sostenere, in via prioritaria, che le clausole contrattuali di previsione del passaggio di proprietà dei beni solo dopo il loro pagamento, non individuasse un contratto ad effetto traslativo con riserva di proprietà rientrante nella previsione dell'art. 1523 c.c., ma costituisse solo una delle modalità negoziali di un negozio atipico, nel quale l'effetto traslativo, pur presente, non aveva carattere prioritario, ravvisandosi come situazione essenziale e qualificante del rapporto negoziale la presenza dei vari prodotti, e del nome della concedente, sul mercato. A detta presenza sul mercato dell'offerta di beni (che qualificherebbe solo come funzione di deposito le clausole inerenti al passaggio di proprietà dopo il pagamento del prezzo), e non alla vendita, atterrebbero le clausole n. 28 e 30 citate.

La prospettazione, peraltro, della questione sotto il profilo del vizio di interpretazione del negozio ha il carattere dell'inammissibilità in quanto, a parte il richiamo generale, nell'epigrafe del motivo, delle norme di ermeneutica negoziale assertivamente violate, la ricorrente non precisa quale sarebbe il vizio o l'omissione in virtù del quale all'interpretazione sostenuta dai giudici del merito se ne dovrebbe sostituire altra, nella quale la tipologia del contratto oneroso di scambio dovrebbe essere sostituita da altra, nella quale la situazione collaborativa dovrebbe assumere carattere prevalente, e qualificante, dell'intero rapporto, e delle clausole n. 28 e 30 in senso diverso da quello ritenuto dai giudici del merito.

Di fronte all'analisi puntuale e comparativa delle varie clausole rilevanti del contratto di concessione fatta dalla Corte del merito (da pag. 32 a pag. 43 della sentenza della Corte d'Appello), ed al momento di sintesi volto a qualificare l'intero rapporto nell'ambito di un negozio di scambio, nonché le clausole, n. 28) e 30) nella fattispecie dell'art. 1523 e ss. cc., la ricorrente si limita a contrapporre altra interpretazione nel senso indicato, senza rendere ragione di quale sia il fondamento del diverso iter logico suggerito, quale il vizio interpretativo ravvisabile nel ragionamento svolto dalla Corte del merito, violatore delle norme di ermeneutica negoziale.

Questa Corte (Cass. 17 dicembre 1990 n. 11960) ha in analoga situazione rilevato che la mancanza di una struttura negoziale tipica, o sufficientemente tipizzata dalla prassi, del contratto di concessione di vendita, non consente di risolvere in astratto il problema della struttura del contratto stesso, il quale nella realtà può atteggiarsi o come contratto a prestazioni corrispettive (salvo poi determinare quali di esse assumano carattere prevalente), o come contratto quadro, dal quale derivi l'obbligo di stipulare successivi ed ulteriori contratti. In quella situazione il negozio venne inquadrato nell'ambito del contratto quadro, valorizzando il fatto che non fosse previsto un obbligo iniziale del concedente di vendere al concessionario, giungendo peraltro, in ordine all'opponibilità della clausola di riservato dominio, alle stesse conseguenze oggi accolte dalla corte di Milano nel caso di specie.

Nel caso di specie la Corte del merito, nell'analisi comparativa e nella valutazione di sintesi (in coerenza con un indirizzo dottrinario prevalente) ha valorizzato i tratti negoziali che individuano, nel contratto di concessione di vendita in esame, la funzione di distribuzione indiretta integrata e, attraverso essi, una funzione essenzialmente di scambio correlata alla fattispecie qualificante della somministrazione.

Qualora si volesse individuare nel mezzo in esame anche l'implicita deduzione di un vizio motivazionale, non potrebbe non rilevarsi la coerenza e la completezza dell'iter seguito dalla Corte d'Appello di Milano, che il suggerimento di una diversa qualificazione funzionale e strutturale della figura in esame non riesce a scalfire.

III ) Con il terzo articolato mezzo di cassazione, la ricorrente affronta una delle questioni fondamentali della causa, relativa all'opponibilità alla curatela, in quanto terza, del patto di riservato dominio, qualora venissero superate, le deduzioni dei precedenti motivi.

Al fine la ricorrente sostiene la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1376, 1524, 1559 e ss., 2704 c.c., art. 73 L.F. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., oltre ad omessa ed insufficienza motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.. a) In ordine al problema della certezza di data e della determinazione del bene oggetto della riserva, la ricorrente rileva che il contratto di concessione rappresentava il regolamento unico dei rapporti tra le parti, in quanto in esso è sancito l'incontro di volontà su tutti gli elementi del rapporto. Detto contratto, registrato, aveva data certa.

Sostenere che i beni oggetto di dette pattuizioni non fossero determinati al momento della conclusione del contratto, sarebbe inconciliabile con la qualificazione scelta dalla Corte d'Appello, in quanto l'asserita indeterminatezza ed indeterminabilità degli oggetti avrebbe dovuto porre l'alternativa: o il contratto non era somministrazione, ma meno contratto programmatico delle future eventuali obbligazioni, ovvero era una somministrazione nulla ai sensi dell'art. 1418 comma 2 in relazione all'art. 1346 c.c. Sotto la prima alternativa si ritornerebbe al contratto con struttura atipica e si sarebbe dovuto porre un problema di meritevolezza della tutela e della compatibilità dell'assetto di interessi programmato.

b) In ordine all'opponibilità della clausola, la Corte di Milano confonderebbe il problema dell'opponibilità dell'atto a seguito della data certa, con il diverso problema della pubblicità degli atti. La tutela dei creditori cui si ispira l'art. 1524, I comma, c.c. non si realizza in un sistema pubblicitario, nel senso che i terzi debbano potere individuare la cosa nella sua singolarità ed il prezzo, ma solo attraverso la predisposizione di meccanismi che impediscono alle parti di perpretare frodi a danno dei creditori. Da ciò discenderebbe l'opponibilità della riserva di proprietà ai creditori per effetto delle fatture fiscali emesse dala FORD in data anteriore al fallimento della concessionaria. In sostanza l'atto di data certa è il contratto di concessione di vendita. La successiva fase della concreta fornitura si inserirebbe in tale previsione, sicché dalla prima sarebbe assorbita. Comunque l'atto scritto di data certa sarebbe costituito dalle fatture FORD. Considerando, inoltre, la specificità del mercato dell'autovettura, in cui confluisce una ristretta gamma di prodotti, non può esservi alcuna incertezza sull'ambito di operatività della clausola di riserva di proprietà, in quanto essa è riferita a tutte le auto ed accessori consegnati dalla FORD alla concessionaria prima di averne il pagamento.

Alcune delle puntualizzazioni fatte dalla ricorrente, e poste a base delle doglianze, richiamano principi di rilievo in linea generale, pur non tenendo conto di altre situazioni essenziali atte ad orientare la valutazione globale del fenomeno.

È indubbiamente vero che la forma scritta e la certezza di data, richiesta dall'art. 1524 comma 1 c.c. per l'opponibilità del patto di riservato dominio ai creditori del concessionario, non possono essere parificate ad una forma pubblicitaria analoga alla trascrizione, fatte salve le disposizioni relative ai mobili registrati previste dal codice (art. 2683 e ss. c.c.) o da norme speciali (L. 28 novembre 1965 n. 1329 relativa a macchine utensili o di produzione). La buona fede dei creditori del concessionario, i quali facciano affidamento sul fatto che il possessore, disponendo come proprietario del bene, tale possa apparire, è oggetto della tutela della previsione normativa in esame; tutela offerta, peraltro, tramite una forma che, come pubblicità (ciò è stato puntualmente osservato da autorevole voce di dottrina) "non vale nulla". D'altronde, nel caso di specie, il trapasso dei beni dal concedente al concessionario, anche delle autovetture, avveniva prima dell'immatricolazione, per cui la loro natura di beni registrati avrebbe assunto rilievo solo nella vendita da parte del concessionario in nome e per conto proprio ai clienti, non veniva invece in rilievo nei rapporti concedente-concessionario che interessa il caso di specie.

Il problema, peraltro, non viene da ciò superato, ponendosi il quesito del come il patto di riserva di proprietà possa riguardare cose di genere.

Nei rapporti diretti concedente-concessionario, perché la riserva di proprietà possa riguardare cose di genere, occorre che all'atto della consegna, ed anche dopo la consegna, esse rimangano individuate, ancorché possano essere adoperate dal compratore, in quanto altrimenti la confusione con altre cose del medesimo genere ne farebbe automaticamente perdere la proprietà al venditore. Nel caso specifico, e nell'alternativa tra veicoli dello stesso tipo e parti di ricambio appartenenti in via definitiva al concessionario in quanto pagate, secondo quanto costituiva la normalità prevista dal contratto, e beni dello stesso genere che continuassero ancora ad appartenere al concedente in quanto ancora non pagati (secondo un'ipotesi eccezionale, pur prevista dallo stesso contratto), la mancata identificazione dei singoli beni avrebbe impedito l'assunzione della seconda qualificazione per confusione. Questa caratteristica non è incompatibile con il contratto di somministrazione il quale, se nella sua unitarietà ha effetti obbligatori in relazione alle successive forniture di beni, nulla esclude che all'atto della consegna i singoli beni siano individuati e tali rimangono nella loro identità e singolarità fino al pagamento.

Occorre non confondere la determinazione, o la determinabilità, dei beni oggetto del contratto ai fini della sua validità (art. 1346 c.c.), che avviene al momento della stipulazione della concessione di vendita (pur rapportata al regime del contratto di somministrazione, secondo la qualificazione data dalla Corte del merito) e l'individuazione dei beni al momento della consegna e successivamente, ai fini della conservazione della proprietà in testa al concessionario fino all'integrale pagamento. Il requisito della determinabilità è soddisfatto quando siano indicate il tipo, le qualità o le quantità dei beni, ovvero i metodi per la loro determinazione; il secondo requisito che non attiene alla validità del contratto, ma all'operatività della clausola di riserva, si esplica con la determinazione del bene nella sua singolarità e al mantenimento di detta determinazione in concreto fino al pagamento integrale.

La compatibilità della clausola di riserva di proprietà con il contraddo di somministrazione, quale contratto di scambio, e la sua possibile attinenza anche a beni inizialmente determinati nel genere, nelle quantità e nelle scadenze delle consegne, non fa venire meno la necessità dell'individuazione del bene di genere nella sua singolarità al momento della consegna ed alla necessità del mantenimento di detta individuazione fino al pagamento, ai fini dell'operatività della clausola di riserva.

Ciò è sufficiente ad escludere il rilievo della ricorrente relativo ad una supposta incoerenza logica riscontrata nella sentenza impugnata ed attinente all'incompatibilità tra l'attrazione della concessione di vendita nel regime della somministrazione, da un lato, e la necessità dell'individuazione dei singoli beni, dall'altro ai fini dell'operatività della clausola di riserva.

Se quanto detto è essenziale nei rapporti tra le parti per le cose di genere, a maggior ragione esso attiene alle caratteristiche della clausola di riserva in relazione alla sua opponibilità ai terzi creditori.

Ciò significa che l'opponibilità ai creditori dell'acquirente con riserva, non richiede solo la forma scritta e la certezza data della formulazione della clausola, ma determina anche la necessità che il requisito formale e la certezza di data riguardino beni individuati nella loro singolarità.

Si pone, quindi, il problema del contenuto essenziale della scrittura avente data certa, necessaria ai fini della opponibilità ai sensi dell'art. 1524 comma 1 c.c., del patto in esame. Si tratta, vale a dire, di valutare se sia sufficiente al fine una qualsiasi espressione di riserva di proprietà in relazione a beni mobili contrattualmente determinabili nel genere, nel tipo e nella quantità, ovvero se essa richieda l'individuazione dei beni nella loro singolarità, singolarità che al fine deve essere individuata e reperita al momento della proposizione dell'azione esecutiva da parte dei creditori del compratore con riserva.

La forma di tutela prevista dall'art. 1524 comma 1 c.c. è destinata ad operare essenzialmente nell'ambito della procedura esecutiva mobiliare che compete ai creditori sui beni patrimoniali del proprio creditore. Affermare l'opponibilità del patto ai creditori dell'acquirente da parte del venditore, significa rendere efficace la persistenza della proprietà in testa al venditore nei confronti dei creditori dell'acquirente, ed il patrimonio del debitore assume rilievo per il creditore essenzialmente come oggetto della responsabilità del debitore stesso, nonché dell'azione esecutiva (nella specie) mobiliare che in virtù del principio di responsabilità compete al creditore sul patrimonio del debitore. Poiché, peraltro, il creditore, in base al disposto dell'art. 513 c.p.c. si giova della presunzione di appartenenza al debitore dei beni reperiti nella sua abitazione e nella sua azienda (presunzione che trova in sede concorsuale la sua espressione negli artt. 84 e 87 L.F.), la forma prevista dall'art. 1524 comma 1 c.c. per il patto di riserva di proprietà è predisposta per il superamento di detta presunzione con l'azione ex art. 619 c.p.c. nell'ambito dell'esecuzione singolare, ovvero ex art. 103 L.F. nell'esecuzione concorsuale. Perché detta efficacia sia riconoscibile alla scrittura (sia essa costituita da un unico atto, sia da più atti provenienti dal compratore), occorre che con le modalità della certezza di data vengano individuati, tra i beni di genere presuntivamente rientranti nel patrimonio dell'acquirente - debitore in base ad una situazione di fatto in cui essi si trovino con i locali di cui il debitore stesso abbia la disponibilità, quelli che a detta presunzione si sottraggono. In coerenza con detti principi, in fattispecie distinta ma ad essi correlata, questa Corte (Cass. 16 maggio 1990 n. 4262; 20 febbraio 1984 n. 1200) pronunciando sull'azione esperibile ex art. 103 L.F., ha ritenuto necessario, per l'esperibilità di detta azione che la cosa mobile sia indicata in modo specifico, non essendo rivendicabili cose fungibili, anche se individuate al momento della consegna, a meno che non sia intervenuto un fatto che ne abbia determinato l'individuazione e l'impossibilità di confusione con il patrimonio del fallito.

È quindi corretta e condivisibile la pronuncia della Corte del merito nel punto in cui ha escluso l'opponibilità alla massa passiva fallimentare del patto di riserva della proprietà, in quanto le clausole n. 27 e 30 del contratto fondamentale, pur unite della forma richiesta e della certezza di data anteriore al fallimento, sono prive della individuazione dei beni nella loro singolarità, mentre la fattura, cui la s.p.a. Ford Italiana fa riferimento al fine, è priva del carattere negoziale richiesto e della certezza di data. IV ) Il quarto mezzo di cassazione concerne la parte della sentenza della Corte di Milano con cui, accogliendo l'appello incidentale della curatela, era stato riconosciuto alla stessa un ulteriore credito per tre vetture e per parti di ricambio a valore superiore a quella ammesso dal Tribunale, basandosi essenzialmente sul tempo trascorso e sulla mancata contestazione delle situazioni di fatto da parte della FORD e su elementi documentali.

La ricorrente, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1524, 1559, 2697 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., oltre ad omessa ed insufficiente motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., rileva che ab origine la FORD aveva contestato tutte le pretese della curatela, per cui la stessa non poteva essere esonerata dall'adempimento dell'onere probatorio su di lei incombente in relazione alla situazione oggetto di controversia nella specie, precisando, in relazione alle tre autovetture, che in base all'accordo transattivo la Ford Italiana avrebbe dovuto restituire alla curatela, nel caso che questa avesse ottenuto sentenza favorevole, il capitale delle vetture che essa aveva appreso e venduto, non di quelle che essa non fosse riuscita a vendere.

Tale essendo il tenore della doglianza, non può non rilevarsi che essa, appuntandosi su alcune proposizioni della sentenza impugnata, ha omesso di considerarla e di valutarla nella completezza delle argomentazioni svolte.

Sia, infatti, in ordine ai tre veicoli, sia in ordine al valore delle parti di ricambio oggetto di sequestro, la Corte del merito ha ritenuto che fosse stata raggiunta la dimostrazione in concreto della vendita, assumendo a fattori di dimostrazione sia elementi documentali sia elementi presuntivi. Così per i tre veicoli la Corte d'Appello assunse ad elementi di prova, tra di loro correlati, il prezzo presumibilmente corrispondente a quello praticato dalla concedente Ford alla concessionaria, il fatto che essi erano stati sottoposti a sequestro avendo assunto al Ford la veste di custode, il fatto che la Ford si fosse riservata nell'accordo transattivo la facoltà di venderli e la presunzione che, in mancanza di diversa e specifica indicazione, il tempo trascorso faceva presumere fondatamente l'avvenuta vendita.

D'altronde era pacifico che la possibilità di vendita dei veicoli nuovi prevista nell'accordo transattivo, nell'ambito dell'organizzazione commerciale della FORD, corrispondeva all'interesse della conservazione del valore, a vantaggio di chiunque vedesse riconosciuta la fondatezza delle proprie ragioni nella controversia in ordine all'appartenenza dei beni ed in considerazione delle finalità essenziali della società FORD e della curatela (in entrambe le organizzazioni i beni erano destinati alla vendita). Il fatto, quindi, che la Ford avesse l'organizzazione atta alla vendita dei veicoli nuovi di sua produzione, il fatto che essa avesse l'interesse ad effettuare la vendita a prezzo pieno ed il tempo trascorso dalla transazione, rendevano fondata la presunzione di avvenuta vendita a prezzo pieno, ritenuto dalla Corte d'Appello con un iter logico immune da vizi e non meritevole della doglianza della ricorrnete sul punto.

Anche in ordine alle parti di ricambio erano estensibili gli stessi elementi presuntivi, valorizzando, ai fini del valore, non solo la condotta processuale della stessa FORD sul punto, ma anche elementi documentali, quali alcune note di accredito emessa dalla stessa FORD.

Sotto gli indicati profili deve ritenersi che la Corte del merito non abbia violato ne' principi in ordine all'onere della prova, ne' abbia espresso in forma contraddittoria o illogica la ragione della propria convinzione che, invece, ha manifestato con coerenza immune dai lamentati vizi.

V ) Con il quinto mezzo la s.p.a. FORD ITALIANA deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1224, 1559 e ss. 2697 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., oltre ad omessa ed

insufficiente motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., dolendosi del riconoscimento del danno da svalutazione monetaria sul presupposto che la somma di L. 348.012.581, costituisse debito di valore mentre, sostiene la ricorrente, esso costituiva credito di valuta sia che esso trovi fonte nel contratto di somministrazione, sia che sia connesso all'accordo transattivo.

Nella deduzione del motivo, si sostiene il carattere di credito di valuta inerente alla situazione giuridica relativa ai beni acquisiti dalla FORD e da essa venduti, ricollegando detto carattere alla fonte del credito, supposta o nel contratto base di concessione o nel rapporto di transazione.

In effetti la Corte d'Appello di Milano ha individuato la fonte del credito vantato dalla curatela non in un rapporto di natura contrattuale, ma in un illecito.

Ed invero, una volta dichiarata l'inefficacia dei sequestri e l'inopponibilità al fallimento del patto di riservato domicilio, le vetture e le parti di ricambio costituivano elementi del patrimonio del fallito, che allo stesso avrebbero dovuto essere acquisiti per i fini della soddisfazione concorsuale. La sottrazione dei beni al concorso, di cui non è stata riconosciuta la legittimità, costituiva sostanzialmente un illecito che obbligava la FORD alla reintegrazione del valore patrimoniale per equivalente monetario. Questa è la ragione espressamente oggetto della motivazione della Corte del merito e posta a base della pronuncia, senza che in essa influisse ne' il rapporto base di concessione, ne' la transazione (con eccezione delle quindici vetture vendute a terzi che costituivano parti del negozio transattivo e per prezzo predeterminato) la cui funzione era, come già indicato, quella della conservazione del valore di realizzo del bene per conto di chi avesse avuto ragione nella controversia, senza incidere ne' sulla natura della controversia tra la curatela fallimentare e la s.p.a. FORD ITALIANA, ne' sulla fonte e sulla qualifica del diritto riconosciuto al fallimento.

Erronea è, quindi, la doglianza.

VI ) Con l'ultimo motivo la ricorrente si duole della ritenuta ammissibilità dell'intervento di causa della Lombad Leasing, deducendo al fine la violazione e la falsa applicazione dell'art. 105 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c..

Sostiene al fine la ricorrente che le domande della intervenuta non originavano dal titolo controverso e neppure vertevano su diritti relativi all'oggetto della controversia, così come detto soggetto non aveva interesse ad intervento adesivo alla posizione del fallimento, tanto che il suo diritto è stato negato proprio perché superato dalla posizione del fallimento.

Il motivo è inammissibile. Ed invero, la domanda della Lombard Leasing è stata rigettata e sul punto non vi è ne' soccombenza della ricorrente ne' ricorso, neppure incidentale. Non è individuabile, pertanto, alcun interesse della s.p.a. Ford Italiana giuridicamente tutelabile in via impugnativa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in L. 165.000, liquidando in L. 6.000.000 gli onorari di avvocato.

Roma 13 dicembre 1994