Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19227 - pubb. 11/01/2018

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Cassazione civile, sez. I, 02 Settembre 1996, n. 8004. Est. Bibolini.


Fallimento - Giudice delegato - Poteri - Provvedimenti urgenti per l'acquisizione di beni mobili del fallito - Limiti



La facoltà del giudice delegato, a norma dell'art. 25 legge fall., di adottare provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio implica il potere di emettere decreti di acquisizione alla procedura concorsuale di eventuali beni mobili, in possesso del fallito o del coniuge o di altri soggetti che non ne contestino le spettanze al fallimento, ma non anche di disporre l'acquisizione di beni sui quali il terzo possessore rivendichi un proprio diritto esclusivo incompatibile con la loro inclusione nell'attivo fallimentare. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Renato SGROI Presidente

" Giuseppe BORRÈ Consigliere

" Giovanni OLLA "

" Gian Carlo BIBOLINI Rel. "

" Giuseppe Maria BERRUTI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

FATTO

Su istanza del curatore del fallimento della s.d.f. tra Marchionna Cira e Marchionna Pasquale, il giudice delegato alla procedura con decreto in data 9 settembre 1985 dava l'autorizzazione all'apprensione mediante inventario di un bene mobile (un motocompressore) depositato presso Pasquale Miccolis. Nel corso dell'inventario eseguito il 1 ottobre 1985 nei locali del Miccolis, questi dichiarava a verbale che non intendeva consegnare il motocompressore "domani, ma fra tre giorni dopo avere par lato col suo legale".

Con successiva istanza in data 8 novembre 1985 il curatore, dando atto di non essere riuscito ancora ad apprendere materialmente il compressore, chiedeva che il giudice delegato, provvedendo ai sensi dell'art. 25 L.F., desse incarico ai Carabinieri di Massafra per l'esecuzione diretta del primo provvedimento. Il giudice delegato, peraltro, non provvedeva secondo richiesta, ma dava autorizzazione al curatore ad agire nei confronti di Pasquale Miccolis al fine di ottenere la restituzione del motocompressore in oggetto nonché il risarcimento dei danni.

Con ricorso in data 19 novembre 1985, il curatore del fallimento indicato chiedeva al Presidente del tribunale di Taranto che fosse ingiunto, ai sensi dell'art. 633 C.P.C., a Pasquale Miccolis la riconsegna del compressore d'aria 4000 Deuz, richiamando l'inventario fallimentare in data 1 ottobre 1985, ed assumendo che il bene era illegittimamente detenuto dal Miccolis, il quale non lo aveva restituito alla curatela malgrado reiterate richieste. Il Presidente del tribunale indicato rilasciava l'ingiunzione richiesta in forma provvisoriamente esecutiva, ingiunzione contro la quale Pasquale Miccolis proponeva opposizione, sostenendo che il bene gli apparteneva per averlo acquistato dalla fallita quattro anni prima, bene di cui egli era comunque legittimo possessore. Chiedeva, di conseguenza, la dichiarazione di nullità e di inefficacia dell'opposto decreto.

Radicato il contraddittorio e contestata la lite, il Tribunale di Taranto rigettava l'opposizione con sentenza 30 gennaio 1990. Su appello di Pasquale Miccolis e nel contraddittorio della curatela, pronunciava la Corte d'Appello di Lecce che, con sentenza n. 278-93, revocava il decreto ingiuntivo e rigettava la domanda proposta dalla curatela per la sua infondatezza.

La Corte del merito perveniva alla pronuncia sulla base del seguente iter logico;

a) Il decreto ingiuntivo è legittimamente concedibile quando si tratti di prestazioni di dare costituenti il contenuto di un rapporto obbligatorio, non quando si controverta sulla proprietà e da parte dello stesso ricorrente si eserciti l'azione di rivendica. Nella specie la Corte d'Appello di Lecce individuava nella posizione processuale assunta dalla curatela una vera e propria rivendica, avendo essa fondato il diritto alla restituzione, non solo sull'avvenuta inventariazione del bene presso il Miccolis, ma anche su una fattura di acquisto del compressore. D'alta parte il Tribunale di Taranto, affermando nella sentenza che la controversia verterebbe su in un rapporto obbligatorio, non era stato in grado di individuato il rapporto stesso. Di conseguenza era illegittima la concessione del decreto ingiuntivo.

b) In ordine al merito della controversia, riteneva la Corte d'Appello che la fattura di acquisto prodotta dalla curatela non costituiva prova della proprietà del bene e, comunque, non costituiva prova dell'attualità del diritto reale. c) Il bene era stato inventariato "in casa del Miccolis", il quale dopo avere tergiversato, aveva dichiarato che intendeva parlare con il proprio legale prima della riconsegna, per cui nessun utile elemento a favore della curatela può trarsi dalla condotta del Miccolis in quella circostanza.

Nella specie il curatore, quale attore sostanziale, era onerato della prova di un titolo obbligatorio alla restituzione del bene, ovvero di un diritto reale che importasse l'obbligo di restituzione. Erroneo oo era pretendere che fossè il Miccolis a dovere dare la dimostrazione del titolo della proprietà, volta che egli si avvaleva della situazione di possesso che emergeva dallo stesso inventario. La Corte del merito riteneva, in particolare, non applicabili nella specie ne' l'art. 103 L.F., ne' l'art. 621 C.P.C., perché entrambe le fattispecie legali disegnate dai predetti articoli presuppongono beni nel possesso del fallito, mentre il bene nella specie era nel possesso dal terzo.

Avverso la decisione proponeva ricorso per cassazione la curatela del fallimento sulla base di quattro motivi; depositava controricorso il sig. Pasquale Miccolis.

DIRITTO

I ) Con il primo mezzo di cassazione la curatela deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 103 L.F., nonché omessa ed insufficiente motivazione, in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 C.P.C.. Sostiene la curatela in linea di principio che dalla redazione dell'inventario, sia esso avvenuto presso la casa o l'azienda del fallito, ovvero presso un terzo, deriva una inversione de facto et de iure del titolo del possesso, oltre ad un vincolo di indisponibilità che può essere superato solo con l'istanza ex art. 103 L.F.. Il legislatore ha affidato in via esclusiva al giudice delegato la verifica e l'accertamento sui diritti vantati dai terzi. A ciò deve aggiungersi che in sede di inventario non solo il Miccolis non aveva contestato il titolo di proprietà della fallita, ma si era impegnato alla restituzione.

II ) Con il secondo motivo la curatela deduce la violazione degli artt. 26 e 36 L.F. in relazione all'art. 360 n. 3 C.P.C.. Sostiene la curatela che, qualora fosse stato ritenuto illegittimo l'inventario, il Miccolis avrebbe dovuto procedere nelle forme dell'art. 36 avverso l'iniziativa della curatela nella redazione dell'inventario, ovvero a norma dell'art. 26 per quanto riguardava l'autorizzazione del giudice delegato alla proposizione dell'azione giudiziaria.

I due motivi meritano una trattazione congiunta, in quanto le doglianze di natura eminentemente procedurale traggono origine da un'unica situazione: l'avvenuto inventario del bene. Da quel fatto la curatela ricorrente intende trarre una serie di conseguenze. In particolare, poiché l'avvenuto inventario del bene, dovunque e comunque verificatosi, determina in tesi l'indisponibilità del bene da parte del terzo ed il mutamento del titolo del possesso, al terzo presso il quale era avvenuto l'inventario restavano aperte tre strade rituali per attenere la restituzione del bene, e cioè:

a) l'azione ex art. 103 L.F.;

b) il reclamo ex art. 36 L.F. avverso l'inventario, quale atto del curatore;

c) il reclamo ex art. 26 L.F. avverso il decreto del giudice delegato autorizzativo dell'azione giudiziale, valorizzando comunque la giurisdizione endofallimentare.

Tanto premesso in ordine alla deduzione della curatela ricorrente, occorre rilevare che le prospettazioni procedurali indicate potrebbero avere in parte carattere di fondatezza (la deduzione relativa all'applicabilità dell'art. 103 L.F.) sol quando l'esecuzione dell'inventario presso il terzo fosse stata legittima. L'inventario, in particolare, venne eseguito in base ad un provvedimento emesso dal giudice delegato (il c.d. decreto di acquisizione che troverebbe la sua fonte normativa nell'art. 25 n. 2 L.F.), della cui legittimità si discute. Non per nulla la Corte del merito escluse nel caso di specie l'applicabilità sia dell'art. 103 L.F., sia dell'art. 621 c.p.c., sul presupposto che entrambi detti articoli ipotizzino l'inventario dei beni mobili nella casa o nell'azienda del fallito e che si tratti comunque di beni di cui il fallito, alla soglia del fallimento, aveva la disponibilità. Nel caso di specie, invece, l'inventario avvenne nella casa di un terzo, terzo che la stessa corte del merito ritenne non consenziente valorizzando la sua condotta perplessa all'atto dell'inventario stesso, come emergeva dal relativo verbale, oltre alla condotta successiva di diniego alla restituzione.

Inoltre deve escludersi che l'inventario, in quanto tale, possa assurgere a prova dell'appartenenza dei beni mobili al fallito; al contrario sono le situazioni che legittimano l'erezione dell'inventario (il possesso da parte del fallito per i beni reperiti nella sua casa e nella sua azienda; la prova della sua disponibilità sui beni mobili non inventariati nella sua casa) che assumono valore a tale fine, onerando il terzo, che agisca per la restituzione del bene, della dimostrazione del suo diritto di natura reale o personale e ad agire a norma dell'art. 103 L.F.. Qualora, per contro, l'inventario sia eseguito al di fuori delle situazioni consentite normativamente e nei confronti di un terzo dissenziente, nessuna inversione dell'onere della prova si verifica a carico del terzo, il quale, legittimando la sua situazione giuridica in base al semplice possesso (possideo quia possideo) e trovando nell'autonoma situazione di possesso il suo titolo, onera la curatela della prova del titolo alla restituzione.

In definitiva, in materia di beni mobili, poiché le situazioni che legittimano l'inventario sono il possesso o la disponibilità del bene da parte del fallito al momento della dichiarazione di fallimento, ne deriva che, se l'inventario venne legittimamente eseguito, il terzo che chieda la restituzione del bene è onerato della prova del proprio diritto di natura reale o personale, da esercitarsi necessariamente nelle forme dell'art. 103 L.F.. Se, per contro, l'inventario fu illegittimo perché eseguito in mancanza di quei presupposti, la curatela stessa, di fronte alla contestazione del terzo che adduca a titolo la sua situazione di possesso, deve dare la dimostrazione del diritto vantato per acquisire la disponibilità del bene.

Nè è sufficiente alla curatela fare riferimento al decreto di acquisizione del giudice delegato, volta che l'illegittimità, se sussistente, coinvolge l'inventario in quanto tale ed il provvedimento che in quei termini lo abbia autorizzato. L'art. 25 n. 2 L.F., non è norma autonomamente attributiva al giudice delegato di poteri discrezionali illimitati, comunque esercitabili anche nei confronti dei terzi, purché coerenti alle finalità della procedura concorsuale. Al contrario, questa Corte, con una linea logica coerente e continua ha più volte stabilito che il potere di acquisizione, disponibile dal giudice delegato ed eseguibile dal curatore, non può coinvolgere i terzi dissenzienti, nei confronti dei quali le modalità procedurali di cautela e di acquisizione da parte della procedura concorsuale sono quelle ordinarie, valorizzando la seconda parte dell'art. 25 n. 2, dove è previsto che il g.d. "provoca dalle competenti autorità i provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio" (vedi Cass. 9 aprile 1984 n. 2258; cass. 9 aprile 1984 n. 2259; 16 luglio 1985 n. 4180; 6.10.1988 n. 5408; 7 aprile 1989 n. 1661; 6 aprile 1992 n. 4214; 5 maggio 1992 n. 5306; 4 febbraio 1993 n. 1402). Ne deriva che il decreto di acquisizione (e la sua esecuzione), nei confronti dei terzi dissenzienti, in quanto atto non sorretto da alcun potere, deve ritenersi atto giuridicamente inesistente, con la conseguenza che contro di esso non sono esperibili i normali mezzi di impugnazione endofallimentare, restando il diritto di qualsiasi interessato di fare valere in qualsiasi tempo l'assoluta inidoneità a produrre effetti (actio nullitatis).

Poiché nella specie la curatela fece valere la pretesa alla restituzione mediante il decreto ingiuntivo, la strada dell'opposizione al provvedimento monitorio era consentita al terzo, e l'unica direttamente consentitagli, per fare valere il suo diritto a contrastare le situazioni che dalla provvisoria esecutività del decreto erano derivate.

Del tutto infondate sono, di conseguenza, le distinte vie procedurali sostenute dalla ricorrente, non senza rilevare che quelle indicate nel secondo motivo sarebbero state del tutto inidonee alla tutela del diritto del terzo per cui, anche se esperite, non avrebbero privato il terzo del diritto di agire con le forme procedurali ordinarie per la tutela della sua situazione di possesso.

III ) Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1153 e 2697 cc., nonché omessa ed insufficiente motivazione, in relazione agli artt. 360 n. 3 e 5 C.P.C.. Sostiene la ricorrente che la Corte d'Appello aveva mal giudicato sull'onere della prova, non avendo rilevato che nell'atto di appello, al punto 2), l'appellante aveva chiesto dichiararsi la sua proprietà sul bene mobile in oggetto ed in via istruttoria aveva offerto di provare per testi detta proprietà. Erroneamente la Corte del merito avrebbe ritenuto che la prova della proprietà spettasse alla curatela, anche dopo la manifestazione di volontà del Miccolis comportante, in tesi, l'inversione dell'onere.

La doglianza, pur cogliendo aspetti di verità, trae spunto da una lettura incompleta dell'atto di appello proposto da Pasquale Miccolis, il quale (pag. 5 dell'atto di appello) chiaramente si richiama al principio dell'art. 1153 C.C. "secondo il quale, in fatto di mobili, il possesso vale titolo".

Il fatto, quindi, che egli avesse offerto la prova della avvenuta acquisizione della proprietà, assumeva il significato di una proposizione subordinata e coordinabile con l'efficacia in causa dell'addotto possesso, senza invertire l'onere probatorio per la parte incombente sulla curatela, come già espresso nell'analisi dei precedenti due motivi.

IV ) Con il quarto mezzo la curatela deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 112 C.P.C. oltre a vizio motivazionale ex art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., dolendosi del fatto che la Corte d'Appello abbia disposto la riconsegna del motocompressore al Miccolis, il quale non aveva fatto richiesta di restituzione, volta che le domande di rilascio e di restituzione sono autonome e debbono essere autonomamente formulate.

Con il mezzo in esame la curatela enuncia principi esatti nella correlazione tra domanda di rivendica e domanda di restituzione, senza considerare, peraltro che la domanda di restituzione nella specie doveva ritenersi formulata, in relazione alle modalità di acquisizione del bene da parte della curatela, come in concreto verificatesi.

Ed invero, la curatela fallimentare aveva acquisito la disponibilità del bene in virtù dell'attuazione del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo e come effetto della provvisoria esecutività di detto provvedimento. Nell'atto di appello Pasquale Miccolis aveva chiesto, tra l'altro, "dichiarare nullo e privo di effetti giuridici il decreto ingiuntivo opposto...". La domanda dell'appellante volta a fare venire meno gli effetti che il decreto aveva avuto, coinvolgeva proprio il trasferimento di disponibilità che era avvenuta per effetto del decreto e che era l'unico effetto del decreto verificatosi fino a quel momento; privazione di effetti che non poteva non avvenire se non mediante la restituzione del bene alla disponibilità dell'opponente. La Corte del merito, quindi, che aveva revocato il decreto ingiuntivo e rigettato le domande di merito della curatela, aveva ben interpretato il tenore delle domande svolte dall'appellante Miccolis, ri tenendo sussistente la domanda di restituzione alla quale aveva, quindi, dato accoglimento come conseguenza delle pronunce sul decreto ingiuntivo.

La soccombenza regge l'obbligo della rifusione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso. Condanna la curatela ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, per lire 100.450, liquidando gli onorari in L. 1.500.000.

Roma 17 aprile 1995.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 2 SETTEMBRE 1996