Deontologia


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23280 - pubb. 26/02/2020

E' rimessa al Consiglio Superiore della Magistratura l'individuazione delle attività del magistrato espletabili ed autorizzabili

Cassazione Sez. Un. Civili, 16 Dicembre 2019, n. 33089. Pres. Petitti. Est. Lucia Tria.


Magistratura - Illecito disciplinare di cui all’art. 3, lett. d), del d.lgs. n. 109 del 2006, contenente il rinvio all’art. 16, comma 1, del r.d. n. 12 del 1941 - Nozione - Fattispecie



L'illecito disciplinare di cui all'art. 3, lett. d), del d.lgs. n. 109 del 2006 - che, nel richiamare l'art. 16, comma 1, del r.d. n. 12 del 1941, sanziona la violazione del divieto di assumere "pubblici o privati impieghi od uffici" e di esercitare "industrie o commerci" e "qualsiasi libera professione" - deve ritenersi integrato anche quando sussista solo l'apparenza dell'assunzione della veste di imprenditore o amministratore di società, nonché nell'ipotesi di esercizio professionale di qualsiasi attività vietata, indipendentemente dal rilievo penale della stessa o dalla natura delle prestazioni rese, essendo rimessa al Consiglio Superiore della Magistratura, in qualità di titolare della potestà autorizzatoria, l'individuazione delle attività espletabili ed autorizzabili, avuto riguardo alla necessità di contemperamento dell'esigenza di consentire ai magistrati il godimento dei diritti di libertà garantiti a tutti i cittadini con quella, contraria, di limitarne l'esercizio per non compromettere la credibilità e l'immagine del magistrato e dell'ordine giudiziario nonchè la fiducia nell'indipendenza ed imparzialità dello svolgimento della funzione giudiziaria. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza della Sezione disciplinare che aveva ritenuto incompatibile con la funzione giudiziaria lo svolgimento, da parte del magistrato, dell'attività di procacciamento di sponsorizzazioni per conto di una associazione sportiva da lui gestita, in ragione della connotazione imprenditoriale dell'attività medesima, a nulla rilevando il carattere non lucrativo dell'attività statutaria svolta dalla detta associazione). (massima ufficiale)


 


Fatti di causa

1. Il Dott. C.A., all'epoca dei fatti magistrato in servizio presso il Tribunale di X., con la sentenza della Sezione disciplinare dei Consiglio superiore della magistratura oggi impugnata è stato condannato alla sanzione disciplinare della sospensione dalle funzioni per la durata di un anno e sei mesi in quanto ritenuto responsabile dei fatti di cui alle seguenti incolpazioni:

a) illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, lett. a), perchè, nell'anzidetta qualità, pur essendo consapevole della sottoposizione a procedimento penale presso l'ufficio giudiziario di appartenenza degli amministratori della Y. s.r.l., ha ottenuto da questi una cospicua agevolazione economica, in forma di sponsorizzazione per attività sportive - risultante da una scrittura privata intervenuta tra la società Z. (di cui il C. era rappresentante legale) e la Y. s.r.l. - agevolazione, poi andata in favore di una canoista, sul presupposto della partecipazione della predetta Z. alle gare del Campionato regionale e di quello nazionale di canoa kayak con la suindicata atleta;

b) illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, lett. a), per avere usato la suindicata qualità per conseguire per sè e per altri un ingiusto vantaggio consistito nella promessa di una sponsorizzazione (poi non effettuata) in favore della società sportiva W. BB. di X. nella quale all'epoca dei fatti giocava la compagna convivente dell'incolpato e di cui è presidente il fisioterapista del C., che era anche suo amico;

c) illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, lett. d), perchè, quale legale rappresentante della società Z. comunque a lui riconducibile, ha svolto attività di acquisizione di sponsorizzazioni, incompatibile con la funzione giudiziaria ai sensi del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 16, comma 1, e successive modificazioni.

2. Alla suddetta conclusione la Sezione disciplinare è pervenuta, per quel che qui interessa, in base alla seguenti considerazioni:

1) quanto alla condotta contestata nel capo a) dell'incolpazione è da escludere che essa possa configurare l'illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, lett. e), perchè è stato accertato che solo una limitata parte della somma pattuita per la sponsorizzazione è stata effettivamente versata in favore della canoista, mentre la rimanente (e più cospicua) somma è stata trattenuta dall'associazione amministrata dal C. per destinarla ad esigenze proprie dell'associazione stessa;

2) per la configurazione dell'indicato illecito è, fra l'altro, richiesto che: a) vi sia la concreta sussistenza di un'agevolazione rilevante (intesa come condizione economica di favore), il che significa che, nella specie, dovrebbe essere intervenuta un'operazione oggettivamente sbilanciata caratterizzata da una manifesta divergenza delle condizioni contrattuali rispetto a quelle normalmente praticate sul mercato, ma la ricorrenza di tale situazione non è emersa nè è stata mai contestata in sede disciplinare; b) la provenienza dell'agevolazione ottenuta da uno dei soggetti specificamente indicati dalla legge (parti, indagati o imputati), mentre nella specie l'utilità conseguita deriva da una successiva condotta antigiuridica (inadempiente) dell'associazione amministrata dall'incolpato;

3) di conseguenza - fermo il fatto contestato, nella sua materialità - esso deve essere qualificato come illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, lett. a), del quale ricorrono tutti gli elementi costitutivi: uso della qualità di magistrato, finalità di perseguire (ma non necessariamente di conseguire) un vantaggio grazie alla spendita della qualità di magistrato (espressa o implicita), ingiustizia del vantaggio avuto di mira;

4) il vantaggio ingiusto non è assimilabile alla agevolazione di cui si è detto perchè può ricorrere anche nell'ipotesi di contrattazione oggettivamente non sbilanciata sul piano patrimoniale, ma indebitamente coartata sul piano della formazione della volontà negoziale, a maggior ragione nel caso di condizioni contrattuali inique;

5) quel che conta è la sussistenza anche della semplice finalità di conseguire il suddetto vantaggio, senza che ne sia necessario l'effettivo ottenimento;

6) ne deriva che, nella specie, il suindicato illecito è da ritenere sussistente sia per il fatto di cui al capo a) dell'incolpazione (nel quale vi è stato il conseguimento di una utilità economica per l'associazione di cui il C. era rappresentante legale), sia anche per il fatto di cui al capo b) dell'incolpazione, essendo ininfluente che la sponsorizzazione in favore della società sportiva W. BB. di X. "unilateralmente" promessa non sia stata conseguita nè potesse considerarsi giuridicamente dovuta;

7) infatti l'elemento che maggiormente rileva è che, in entrambi i casi, l'incolpato al fine di conseguire un vantaggio ingiusto (seppure non sempre raggiunto) ha utilizzato la qualità di magistrato e che questo ha inciso in maniera decisiva sulle determinazioni della controparte;

8) quanto all'illecito di cui al capo c) dell'incolpazione - anche a prescindere dall'intensa, ripetuta e duratura attività amministrativa e gestionale della suindicata associazione sportiva, svolta dall'incolpato - quel che è certo è che il C. ha posto in essere un'attività di procacciamento di sponsorizzazioni, la quale comunque ha, di per sè, connotazione imprenditoriale e, come tale, è da considerare vietata ai sensi del R.D. n. 12 del 1941, art. 16 senza che assuma alcun rilievo in contrario l'unico argomento della difesa dell'incolpato sul punto, rappresentato dal carattere non lucrativo dell'attività statutariamente consentita alla Z.;

9) gli illeciti disciplinari commessi dall'incolpato non possono considerarsi di scarsa rilevanza, perchè la loro ripetizione, gravità e continuità temporale hanno inciso sensibilmente sul prestigio e la credibilità della Magistratura;

10) poichè concorrono più illeciti disciplinari diversamente sanzionati, in base al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 5, comma 2, si deve applicare la sanzione prevista per l'infrazione più grave, che nella specie è quella di cui al capo c), sanzionata con la sospensione dalle funzioni (che, in linea generale, va da tre mesi a due anni);

11) di conseguenza, in considerazione sia della presenza di precedenti disciplinari sia delle anzidette caratteristiche delle condotte qui esaminate, si ritiene adeguata ed assorbente la sanzione della sospensione dalle funzioni per un anno e sei mesi.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso il Dott. C.A. per quattro motivi.

4. Il Ministro della Giustizia è rimasto intimato.

 

Ragioni della decisione

I - Sintesi del ricorso.

1. Il ricorso è articolato in quattro motivi, tutti esplicitamente riferiti ai soli capi b) e c) dell'incolpazione.

1.1. Con il primo motivo si denuncia - con riguardo al capo c) dell'incolpazione - violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), per l'erronea applicazione del R.D. n. 12 del 1941, art. 16 in relazione al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, lett. d).

Si sostiene che, diversamente da quanto affermato dalla Sezione disciplinare, poichè la Z. era un'associazione dilettantistica senza fine di lucro, l'incarico di presidente di tale società avrebbe dovuto essere qualificato come "ufficio privato" svolto all'interno di una "società imprenditoriale".

Di conseguenza sarebbe irrilevante l'attività di ricerca di sponsorizzazioni che "non costituivano l'oggetto sociale" dell'associazione, ma soltanto modalità strumentali al perseguimento degli scopi sociali, soltanto eccezionalmente, come nelle ipotesi contestate, a vantaggio di terzi.

Del resto, anche in sede penale è emerso che la ricerca di sponsorizzazioni non ha inciso sulla natura giuridica dell'associazione, tanto che anche dall'accertamento dell'Agenzia delle Entrate effettuato nel 2014 sulla Z. è emerso che la ripresa a tassazione dell'attività svolta nel 2009 non ha portato al disconoscimento della natura di associazione sportiva dilettantistica della stessa.

Si denuncia il mancato esame di questo aspetto da parte della Sezione disciplinare. E si conclude per l'insussistenza dell'addebito in oggetto.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia - con riguardo al capo b) dell'incolpazione - violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), per l'erronea applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, lett. a).

Si sostiene che, dalla motivazione sul punto della sentenza impugnata, si desumerebbe la totale assenza dell'elemento dell'ingiustizia del vantaggio promesso (ancorchè non conseguito), essenziale per configurare l'illecito.

Si afferma che ciò sarebbe riconosciuto nella stessa sentenza a proposito dell'illecito di cui al capo a) ove si afferma che l'uso della qualità di magistrato non è sufficiente per la sussistenza dell'illecito di cui all'art. 3, lett. a), cit. ma è necessario che il vantaggio perseguito sia "ingiusto", cioè contra jus.

Anche dalla corrispondenza intercorsa tra i rappresentanti della Y. s.r.l. e della W. BB. risulta evidente che sono stati costoro a determinare, in piena autonomia, il contenuto economico della sponsorizzazione, mentre l'attività dell'incolpato si è esaurita nel mettere in contatto le suddette parti contrattuali.

E, infatti, non è stato mai contestato che la promessa sponsorizzazione in favore della W. BB. sia stata caratterizzata da una manifesta divergenza delle condizioni contrattuali concretamente praticate rispetto a quelle normalmente operanti sul mercato, analogamente a quanto si afferma nella sentenza impugnata a proposito del capo a) di incolpazione.

1.3. Con il terzo motivo si denuncia - sempre con riguardo al capo b) dell'incolpazione - violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), in riferimento agli artt. 121,178,597 c.p.p., art. 125 c.p.p., comma 3, art. 546 c.p.p., per carenza assoluta di motivazione in ordine agli argomenti trattati nella memoria difensiva depositata in giudizio al fine di escludere l'ingiustizia del vantaggio.

1.4. Con il quarto motivo si denuncia violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in riferimento al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 5, comma 1, lett. e) e comma 2, art. 12, comma 1, lett. I) e comma 4, nonchè in riferimento agli artt. 121,178,597 c.p.p., art. 125 c.p.p., comma 3, art. 546 c.p.p., per erronea applicazione di legge e carenza e contraddittorietà di motivazione in ordine alla quantificazione della sanzione irrogata, sostenendosi che la motivazione sul punto sarebbe soltanto apparente perchè apodittica e non collegata ai fatti accertati.

Si aggiunge che i due precedenti disciplinari dell'incolpato risalenti, rispettivamente, al (--) - riguardavano fatti che non toccavano l'integrità del magistrato.

Inoltre, si rileva che le condotte oggetto del presente giudizio sostanzialmente hanno dato luogo ad un unico fatto circoscritto in un breve lasso di tempo, sicchè l'affermata sussistenza di "pluralità, ripetizione e prolungata estensione temporale delle condotte" configurerebbe un palese vizio motivazionale.

Infine, se l'intrinseca gravità dei fatti può giustificare la mancata applicazione dell'art. 3-bis - che non viene contestata - comunque non potrebbe giustificare l'entità della sanzione irrogata, visto che non si è avuta la anzidetta pluralità di condotte e, l'infrazione più grave - quella di cui al capo c) dell'incolpazione - la cui sanzione è stata applicata ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 5, comma 2, in realtà è consistita esclusivamente nell'aver procacciato un'unica sponsorizzazione in favore della Z., del valore complessivo di Euro 6000, ritenuto non fuori mercato.

II - Esame delle cesure.

2. L'esame delle censure porta al rigetto del ricorso, per le ragioni di seguito esposte.

3. Il primo motivo non è da accogliere.

3.1. Con tale motivo si contesta la statuizione della Sezione disciplinare con la quale è stato ritenuto sussistente l'illecito di cui al capo c) dell'incolpazione, ribadendosi l'argomento - già speso in precedenza - relativo alla natura di associazione dilettantistica senza fine di lucro della Z. che avrebbe dovuto portare a qualificare l'incarico di presidente di tale società (svolto dall'incolpato) come "ufficio privato" svolto all'interno di una "società imprenditoriale".

3.2. Va, tuttavia, osservato in primo luogo che la questione della qualificazione in concreto della natura dell'associazione in oggetto questione che, peraltro, impinge in una valutazione di fatto, eventualmente censurabile sotto il profilo del vizio di motivazione e non quale violazione di norme di diritto, come avviene nella specie nell'ambito della motivazione della sentenza viene espressamente considerata ininfluente dalla Sezione disciplinare.

3.3. Nella sentenza, infatti, si sottolinea che - anche a prescindere dall'intensa, ripetuta e duratura attività amministrativa e gestionale della suindicata associazione sportiva, svolta dall'incolpato - quel che conta è che il C. ha posto in essere un'attività di procacciamento di sponsorizzazioni, la quale comunque ha, di per sè, connotazione imprenditoriale e, come tale, è da considerare vietata ai sensi del R.D. n. 12 del 1941, art. 16 senza che assuma alcun rilievo in contrario l'unico argomento della difesa dell'incolpato sul punto, rappresentato dal carattere non lucrativo dell'attività statutariamente consentita alla Z..

3.4. Tale affermazione risulta del tutto conforme alla giurisprudenza consolidata e condivisa di queste Sezioni Unite secondo cui:

a) la ratio del R.D. n. 12 del 1941, art. 16 è quella di evitare "ogni possibile confusione tra il ruolo di magistrato e quello di esercente attività estranee alle funzioni giurisdizionali", onde assicurare l'esatto adempimento dei doveri di ufficio da parte dei giudici e salvaguardare la dignità ed il prestigio dei singoli magistrati e della Magistratura nel suo complesso; per tale ragione per l'indicazione delle attività vietate ai magistrati è stata adottata una formula molto ampia nella indicazione delle attività vietate ai magistrati, i quali, in base al comma 1 della disposizione, "non possono assumere pubblici o privati impieghi o uffici"; "non possono nemmeno esercitare industrie o commerci nè qualsiasi libera professione" (vedi, per tutte: Cass. SU 22 aprile 1992, n. 4786);

b) in particolare, il divieto di assumere "pubblici o privati impieghi od uffici" o di esercitare "industrie o commerci", costituente illecito disciplinare, ai sensi del R.D. n. 12 del 1941, art. 16, comma 1, richiamato dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, comma 1, comporta il divieto non solo di assumere ma anche di "apparire di assumere" la veste di imprenditore o amministratore di società, dovendo il magistrato improntare la sua condotta alla massima obiettività e al massimo disinteresse, al fine di non creare un clima di sospetto atto a compromettere la fiducia, la credibilità e l'immagine di cui il magistrato e l'ordine giudiziario debbono godere (vedi, per tutte: Cass. SU 10 agosto 2011, n. 17147 e nello stesso senso: Cass. SU 7 febbraio 2007, n. 2685; Cass. SU 20 settembre 2012, n. 15832);

c) al fine dell'accertamento dell'illecito disciplinare di cui al R.D. n. 12 del 1941, art. 16, comma 1, non rileva l'eventuale indifferenza sotto il profilo penalistico dell'attività vietata svolta professionalmente, poichè la norma disciplinare, facendo divieto di esercitare "qualsiasi libera professione", al pari di "qualsiasi industria o commercio", o di assumere impieghi od uffici pubblici o privati, mira ad impedire che l'esercizio professionale di qualsiasi attività, indipendentemente dalla natura delle prestazioni volta a volta rese, possa costituire per il magistrato, oltre che ragione di limitazione del suo impegno istituzionale, fattore di condizionamento ed inquinamento dello stesso (Cass. SU 27 giugno 2003; Cass. SU 10 dicembre 2013, n. 27493);

d) anche laddove ci si trovi in presenza dello svolgimento di un incarico (per tale intendendosi l'attività destinata a svolgersi nel contesto di un rapporto di collaborazione appositamente instaurato con soggetti conferenti), comunque per effetto del rapporto di coordinamento e integrazione tra le due norme primarie di cui all'art. 16 dell'Ordinamento giudiziario e al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53 l'eventuale gratuità dell'incarico non esclude, di per sè, per i magistrati la potestà autorizzatoria del CSM, spettando in ogni caso all'organo di autogoverno verificare che, nel caso concreto, non sussistano ragioni, connesse al prestigio della magistratura ovvero alla funzionalità del singolo ufficio giudiziario, che si oppongano a che quel particolare incarico sia svolto da quel determinato magistrato (Cass. SU 28 novembre 2007, n. 24669 e Cass. SU n. 27493 del 2013 cit.);

e) l'individuazione delle attività espletabili ed autorizzabili spetta al CSM, nell'esercizio del proprio potere di normazione secondaria diretto ad integrare le due suindicate norme primarie, in virtù di un'attività interpretativa che non può che essere rimessa all'Organo di autogoverno (vedi: Consiglio di Stato, sentenza n. 2239 del 2009);

f) invero, è indubbio che i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino (Corte Cost., sentenze n. 100 del 1981 e n. 224 del 2009), in quanto come cittadini e come persone hanno certamente il diritto ed il dovere di contribuire alla vita intellettuale e culturale del Paese; pertanto essi possono liberamente svolgere, senza necessità di alcuna autorizzazione, "le attività che costituiscono espressione di diritti fondamentali, quali la libertà di manifestazione scritta e verbale del pensiero, di associazione, di esplicazione della personalità; la pubblicistica; la produzione artistica e scientifica; le attività di creazione di opere dell'ingegno; la partecipazione, come relatori, qualora non sia previsto alcun tipo di retribuzione, a seminari e convegni; l'adesione ad organismi che danno luogo ad un rapporto associativo trasparente; la partecipazione ad attività di volontariato" (Cass. SU n. 27493 del 2013 cit.);

g) tuttavia, anche nell'esercizio di un diritto di libertà di rango costituzionale il magistrato deve responsabilmente valutare che l'attività in concreto espletata non comprometta la sua affidabilità e credibilità, in termini di indipendenza e di imparzialità, e deve curare che questa si svolga con modalità tali da non risultare pregiudizievole per il servizio giustizia, in quanto pure in quest'ambito le funzioni esercitate e la qualifica rivestita dai magistrati non sono indifferenti e prive di effetto per l'ordinamento costituzionale: lo status del magistrato è caratterizzato da diritti e doveri che, avuto riguardo alla specificità della funzione giudiziaria, senza dubbio investono il suo comportamento anche fuori dell'ufficio (Cass. SU n. 27493 del 2013 cit. nonchè Circolare del CSM n. P 22581 del 9 dicembre 2015 e succ. mod., in materia di incarichi extragiudiziari);

h) i suindicati limiti riguardanti l'esercizio da parte dei magistrati dei suddetti diritti di libertà sono giustificati sia dalla particolare qualità e delicatezza delle funzioni giudiziarie, sia dai principi costituzionali di indipendenza e imparzialità (art. 101 Cost., comma 2, art. 104 Cost., comma 1 e art. 108 Cost., comma 2) che le caratterizzano, principi da tutelare non solo con specifico riferimento all'esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche quali criteri ispiratori di regole deontologiche da osservare in ogni comportamento di rilievo pubblico, al fine di evitare che dell'indipendenza e dell'imparzialità dei magistrati i cittadini possano fondatamente dubitare (Corte Cost., sentenza n. 170 del 2018).

3.5. I menzionati principi trovano conferma anche nella recente sentenza della Corte costituzionale n. 197 del 2018 ove, tra l'altro, è stato precisato che i magistrati, ai quali è affidata la tutela dei diritti di ogni consociato, per tale ragione sono tenuti - più di ogni altra categoria di funzionari pubblici - non solo a conformare oggettivamente la propria condotta ai più rigorosi standard di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio nell'esercizio delle funzioni, secondo quanto prescritto dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 ma anche ad apparire indipendenti e imparziali agli occhi della collettività, evitando di esporsi a qualsiasi sospetto di perseguire interessi di parte nell'adempimento delle proprie funzioni. E ciò per evitare di minare, con la propria condotta, la fiducia dei consociati nel sistema giudiziario, che è valore essenziale per il funzionamento dello Stato di diritto (nella stessa ottica vedi: Corte EDU, sentenza del 9 luglio 2013, Di Giovanni c. Italia, ove è stato affermato che gli imperativi superiori della giustizia e l'importanza della funzione giudiziaria impongono ai magistrati anche al di fuori dell'esercizio delle loro funzioni l'adozione di comportamenti che siano adeguati al loro ruolo nella comunità di riferimento).

3.6. Quindi ai fini della sussistenza, nella specie, dell'illecito di cui all'art. 16, comma 1, cit. sarebbe di per sè sufficiente l'intensa, ripetuta e duratura attività amministrativa e gestionale della suindicata associazione sportiva, svolta dall'incolpato - e non contestata - perchè comunque idonea a minare la fiducia dei consociati nel sistema giudiziario anche solo in apparenza, nel senso suddetto, a prescindere dalla natura imprenditoriale o meno dell'attività svolta dall'associazione Z..

Ma, poichè in questo caso l'incolpato ha svolto un'attività di procacciamento di sponsorizzazioni questo elemento è stato correttamente considerato dalla Sezione disciplinare determinante per affermare la sussistenza dell'illecito, visto che tale ultima attività ha di per sè connotazione imprenditoriale e, come tale, è da considerare vietata ai sensi del R.D. n. 12 del 1941, art. 16 senza che ne rilevi la consistenza economica (più o meno cospicua).

3.7. Ebbene, tale ratio decidendi - che è quella che da sola è idonea a sorreggere la sentenza sul punto considerato - non viene attinta dalle censure formulate nel primo motivo e ciò ne determina l'inammissibilità.

Tali censure, infatti, si indirizzano inammissibilmente su altri argomenti, che risultano del tutto inidonei a confutare la suddetta statuizione, in quanto sono incentrati - sia pure per profili diversi sulla natura dell'associazione Z., rilevandosi da un lato che l'attività di procacciamento delle sponsorizzazioni, di cui non si nega l'avvenuto svolgimento, non rientrava nell'oggetto sociale dell'associazione e dolendosi, dall'altro lato, della mancata considerazione da parte della Sezione disciplinare dell'esito dell'accertamento dell'Agenzia delle Entrate effettuato nel 2014 nell'ambito del procedimento penale conclusosi con l'archiviazione nel quale sarebbe stata confermata la natura di associazione sportiva dilettantistica della Z..

3.8. E' evidente che si tratta di assunti che non toccano l'anzidetta ratio decidendi - rappresentata dall'avvenuto svolgimento da parte dell'incolpato di un'attività di procacciamento di sponsorizzazioni avente di per sè connotazione imprenditoriale - il che rende inammissibile, per difetto di interesse, il primo motivo, essendo la statuizione non censurata divenuta definitiva e quindi non potendosi più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706).

Tale osservazione assorbe tutti gli altri profili di inammissibilità rinvenibili nelle censure proposte con il primo motivo, per il fatto che esse - senza un'adeguata osservanza del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione - finiscono con l'esprimere un mero dissenso rispetto alle valutazioni delle risultanze probatorie effettuate dalla Sezione disciplinare - come è reso palese dalla denuncia di omessa considerazione da parte della Sezione disciplinare dell'esito dell'accertamento dell'Agenzia delle Entrate effettuato nel (--) - in sostanza, finalizzato alla rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata (rilettura incentrata dal punto di vista del ricorrente, sulla natura non imprenditoriale dell'associazione Z.), senza considerare che, pur dopo la modifica dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è estraneo al sindacato di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (vedi, per tutte: Cass. SU 19 marzo 2019, n. 7691).

4. Il secondo motivo non è fondato.

4.1. Deve essere preliminarmente rilevato che nella sentenza impugnata i fatti di cui ai capi a) (qui non censurato) e b) dell'incolpazione sono stati trattati unitariamente, perchè entrambi riferiti ad attività di sponsorizzazione (seppure conseguita solo nel primo caso).

In particolare, la Sezione disciplinare ha, in primo luogo, escluso che la condotta contestata nel capo a) dell'incolpazione possa configurare l'illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, lett. e), - anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 197 del 2018 - perchè è stato accertato che solo una limitata parte della somma pattuita per la sponsorizzazione è stata effettivamente versata in favore della canoista, mentre la rimanente (e più cospicua) somma è stata trattenuta dall'associazione amministrata dal C. per destinarla ad esigenze proprie dell'associazione stessa.

E ha, quindi, sottolineato che per la configurazione del suddetto illecito è, fra l'altro, richiesto che vi sia la concreta sussistenza di un'agevolazione rilevante (intesa come condizione economica di favore) proveniente da uno dei soggetti specificamente indicati dalla legge (parti, indagati o imputati).

Nella specie, invece, non è emersa nè è stata mai contestata in sede disciplinare la ricorrenza di una tale operazione oggettivamente sbilanciata caratterizzata da una manifesta divergenza delle condizioni contrattuali rispetto a quelle normalmente praticate sul mercato e l'utilità conseguita è derivata da una successiva condotta antigiuridica (inadempiente) dell'associazione amministrata dall'incolpato, non dai suindicati soggetti.

4.2. Sulla base di queste premesse, esaminandosi in modo unitario i fatti di cui ai primi due capi dell'incolpazione, nella sentenza impugnata si è precisato che gli elementi costitutivi dell'illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, lett. a), sono i seguenti: uso della qualità di magistrato, finalità di perseguire (ma non necessariamente di conseguire) un vantaggio grazie alla spendita della qualità di magistrato (espressa o implicita), ingiustizia del vantaggio avuto di mira.

Si è, quindi, soggiunto che il vantaggio ingiusto non è assimilabile alla agevolazione di cui all'art. 3, lett. e) cit. perchè può ricorrere anche nell'ipotesi di contrattazione oggettivamente non sbilanciata sul piano patrimoniale, ma indebitamente coartata sul piano della formazione della volontà negoziale, a maggior ragione nel caso di condizioni contrattuali inique e che ciò che conta è la sussistenza anche della semplice finalità di conseguire il suddetto vantaggio, senza che ne sia necessario l'effettivo ottenimento.

Di conseguenza, il suddetto illecito è stato ritenuto, nella specie, sussistente sia per il fatto di cui al capo a) dell'incolpazione (nel quale vi è stato il conseguimento di una utilità economica per l'associazione di cui il C. era rappresentante legale), sia anche per il fatto di cui al capo b) dell'incolpazione, essendo ininfluente che la sponsorizzazione in favore della società sportiva W. BB. di X. "unilateralmente" promessa non sia stata conseguita nè potesse considerarsi giuridicamente dovuta.

Infatti si è posto l'accento sull'elemento comune avente rilevanza centrale, in entrambi i casi rappresentato dalla utilizzazione - che ha avuto un ruolo decisivo sulle determinazioni della controparte - della qualità di magistrato, al fine di conseguire un vantaggio ingiusto (seppure non sempre raggiunto).

4.3. Il ricorrente, non avendo impugnato la condanna per l'addebito sub a), ha implicitamente riconosciuto la correttezza della ricostruzione della fattispecie effettuata dalla Sezione disciplinare anche ai fini del capo b) (qui impugnato), visto che la sentenza ha esaminato in modo unitario entrambi gli addebiti.

4.4. Deve comunque essere aggiunto che la sentenza impugnata sul punto risulta del tutto conforme a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte secondo cui:

a) l'abuso della qualità di magistrato - si badi, della semplice qualità non già delle funzioni o dei poteri - al fine di poter ottenere un trattamento di miglior favore per sè o per altri, può anche essere effettuato implicitamente (vedi, sul punto: Cass. Pen. sez. VI n. 26285 del 2013; Cass. Pen. sez. VI n. 7495 del 2012) quando la conoscenza della qualità stessa si inserisce in un contesto che concorre ad evidenziare una pressione psicologica sulla controparte o che comunque è idoneo ad incidere sulle determinazioni della controparte al punto da indurla (nel caso del rapporto contrattuale) a addivenire ad un dato rapporto (di recente: Cass. SU 27 luglio 2018, n. 20028 e Cass. SU 18 marzo 2019, n. 7622);

b) peraltro, l'art. 3, comma 1, lett. a), cit. ha il duplice fine di preservare la fiducia nell'imparzialità del magistrato, in relazione alla possibilità che l'abuso della qualità per un fine ingiusto possa determinare negli interlocutori il dubbio sulla permeabilità a richieste di soggetti interessati a influenzarlo nell'esercizio delle funzioni e di garantire una linearità di comportamento, riconducibile al dovere generico di correttezza nella vita privata (Cass. SU 23 novembre 2018, n. 30424);

c) ai fini della sussistenza del "vantaggio ingiusto" non viene in considerazione solo il vantaggio "contra jus", in quanto deve accogliersi una nozione più ampia di ingiustizia, comprendente non soltanto gli scopi antigiuridici ma anche quelli che mirano all'ottenimento di trattamenti di favore non comunemente praticati, ma richiesti tramite la spendita della qualità di magistrato quale strumento diretto al loro raggiungimento (Cass. SU 23 novembre 2018, n. 30424).

4.5. In sintesi, il secondo motivo deve essere respinto in quanto la motivazione della sentenza impugnata a proposito dell'illecito di cui al capo b) dell'incolpazione è del tutto congrua e conforme ai principi affermati dalla giurisprudenza di queste Sezioni Unite in materia, mentre le censure muovono da un erronei presupposti, specialmente con riguardo alla configurazione di "vantaggio ingiusto", come limitata al vantaggio contra jus, mentre l'art. 3, comma 1, lett. a) cit. ne adotta una nozione molto più ampia per tutelare meglio la fiducia nell'imparzialità del magistrato, cui è finalizzato.

5. Il terzo motivo va dichiarato inammissibile sia per la genericità delle censure nelle quali non vengono esplicitate le ragioni della decisività degli argomenti trattati nella memoria difensiva depositata in giudizio su cui si deduce la carenza assoluta di motivazione (vedi, per tutte: Cass. SU 29 settembre 2016, n. 19301; Cass. SU 24 gennaio 2019, n. 2084) sia perchè nella formulazione delle censure non è stato osservato - in riferimento alla memoria difensiva richiamata - il principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione.

6. E' inammissibile anche il quarto motivo con il quale si contesta la parte della sentenza impugnata relativa alla determinazione della sanzione.

6.1. Alla suddetta conclusione si perviene, in primo luogo, rilevandosi che la denuncia di motivazione apparente sul punto - ictu oculi destituita di fondamento - risulta non solo priva di argomentazioni, ma addirittura smentita implicitamente dalle stesse argomentazioni del ricorrente che hanno ad oggetto proprio i diversi passaggi della motivazione medesima.

6.2. Per il resto va ricordato che è jus receptum che:

a) nel procedimento disciplinare a carico di magistrati la valutazione della gravità della violazione disciplinare commessa dall'incolpato - anche in ordine al riflesso del fatto addebitato sulla stima del magistrato, sul prestigio della funzione esercitata e sulla fiducia nell'istituzione - unitamente alla determinazione della sanzione adeguata rientrano tra gli apprezzamenti di merito attribuiti alla Sezione disciplinare del CSM, il cui giudizio è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logico-giuridici (vedi, fra le tante: Cass. SU 27 luglio 2007, n. 16625; Cass. SU 8 aprile 2009, n. 8615);

b) la scelta della sanzione da applicare va effettuata, da parte della Sezione disciplinare del CSM, secondo il fondamentale criterio della proporzionalità, intesa come adeguatezza alla concreta fattispecie disciplinare ed espressione della razionalità che fonda il principio di eguaglianza, e, quindi, con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto. A tal fine, devono formare oggetto di valutazione la gravità dei fatti in rapporto alla loro portata oggettiva, la natura e l'intensità dell'elemento psicologico nel comportamento contestato unitamente ai motivi che l'hanno ispirato e, infine, la personalità dell'incolpato, in relazione, soprattutto, alla sua pregressa attività professionale e agli eventuali precedenti disciplinari (Cass. SU 24 novembre 2010, n. 23778; Cass. SU 4 luglio 2012, n. 11137).

6.3. Nella specie la Sezione disciplinare si è attenuta, con motivazione coerente e logica, ai suindicati principi.

Infatti, una volta accertato il concorso di più illeciti disciplinari puniti con sanzioni di gravità diversa, in base al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 5, comma 2 ha stabilito di dover applicare la sanzione prevista per l'infrazione più grave, che nella specie è quella di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, lett. d), sanzionata con la sospensione dalle funzioni, che, in base all'art. 5 cit., comma 1 può avere una durata compresa tra da tre mesi a due anni).

Di conseguenza, in considerazione sia della presenza di precedenti disciplinari sia delle suindicate caratteristiche delle condotte qui esaminate e anche della loro reiterazione (per l'illecito di cui all'art. 3, lett. a, cit.) ha irrogato, come unica e assorbente sanzione, la sospensione dalle funzioni per un anno e sei mesi.

In tal modo la Sezione disciplinare ha applicato il fondamentale criterio della proporzionalità, secondo le direttive indicate dalla giurisprudenza di queste Sezioni Unite, giustificando la propria scelta con adeguata motivazione.

6.4. Per tutte le anzidette ragioni sia la palese insussistenza del denunciato vizio di "motivazione apparente" sia la sostanziale finalizzazione delle altre censure proposte con il quarto motivo a contestare le valutazioni di merito effettuate dalla Sezione disciplinare per pervenire alla determinazione della sanzione portano alla complessiva inammissibilità del motivo stesso.

III - Conclusioni.

7. In sintesi, il ricorso del dottor C.A. deve essere rigettato.

8. Nulla va disposto in relazione alle spese processuali, non avendo il Ministro della Giustizia intimato svolto attività difensiva in questa sede.


P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019.