Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23970 - pubb. 11/01/2020

Rilievo d'ufficio della non assoggettabilità dell'impresa al fallimento

Cassazione civile, sez. I, 20 Agosto 2004, n. 16356. Pres. Saggio. Est. Ragonesi.


Fallimento - Natura del giudizio - Officiosità - Relativa - Affermazione - Conseguenze - Rilievo d'ufficio della non assoggettabilità dell'impresa al fallimento - Per la natura artigiana



In tema di giudizio di opposizione alla sentenza di fallimento, l'eccezione di non assoggettabilità a fallimento dell'impresa in ragione della sua natura artigiana non è suscettibile di essere rilevata d'ufficio. Infatti, un tale giudizio, se presenta un certo grado di officiosità e attribuisce al giudice il potere-dovere di riscontrare, anche d'ufficio, la sussistenza dello stato d'insolvenza e di ogni altro presupposto del fallimento, avvalendosi di tutti gli elementi comunque acquisiti, in atti e nel fascicolo fallimentare, ivi inclusi quelli relativi alla fase processuale conclusasi con la dichiarazione di fallimento, riveste un carattere officioso relativo perché opera pur sempre nell'ambito del principio generale dell'onere delle parti di fornire la prova delle rispettive allegazioni e rimane circoscritto alle domande ed alle eccezioni sollevate dalle parti. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


Fatto

Con citazione notificata il 16 giugno 1998 C.G. e B.M.R.A. proponevano opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento emessa dal Tribunale di Catania il 4 maggio 1998, con la quale era stato dichiarato il fallimento della s.n.c. Edilteco e i fallimenti personali di essi opponenti.

Assumevano a sostegno dell'opposizione che non ricorreva nella specie lo stato di insolvenza anche perché, sotto questo profilo, il C. aveva presentato un piano di smobilizzo nonché un prospetto dal quale emergeva che la società stava per riscuotere una serie di crediti vantati nei confronti dei propri clienti. Assumevano, inoltre, che il credito azionato dalla Munters era insussistente e, peraltro, per la sua ridotta entità non era significativo.

Rilevavano, infine, la violazione dell'art. 15 L.Fall. perché la comparizione dei debitori non era avvenuta avanti al Tribunale in camera di consiglio, ma avanti al Giudice delegato per la procedura Concludevano, quindi, chiedendo revocarsi la dichiarazione di fallimento con la condanna del creditore istante al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede.

Si costituivano in giudizio tanto il curatore del fallimento quanto il creditore istante società Munters, contestando la fondatezza dell'opposizione.

Con sentenza 15.4/10.61999 il Tribunale di Catania rigettava l'opposizione e condannava gli opponenti in solido al pagamento delle spese giudiziali. Avverso la suindicata sentenza, non notificata, proponevano appello C.G. e B.M.R.A..

Deducevano gli appellanti che erroneamente il primo giudice aveva omesso di pronunciare in ordine al motivo di opposizione articolato per la prima volta in seno alla comparsa conclusionale, con il quale era stato dedotto che la Edìlteco snc era una piccola società artigianale e quindi non poteva essere assoggettata al falli mento.

Costituendosi in giudizio, la Munters srl eccepiva preliminarmente la improcedibilità del gravarne proposto per essere stata sollevata una eccezione nuova; contestava quanto ex adverso dedotto perché infondato in fatto ed in diritto, chiedendo rigettarsi l'appello proposto.

La Curatela non si costituiva in giudizio.

La Corte d'appello dichiarava inammissibile il gravame.

Ricorrono per cassazione il C. e la B. sulla base di un unico motivo cui resiste con controricorso la curatela fallimentare.

 

Diritto

I ricorrenti deducono con l'unico motivo di ricorso la violazione dell'art. 345 per avere il giudice di appello ritenuto nuova, dichiarando inammissibile il gravame, l'eccezione sollevata in sede di impugnazione, e prima ancora con la comparsa conclusionale in primo grado, con cui si era dedotta la natura artigiana dell'impresa.

Il motivo è infondato.

Va anzitutto premesso che le eccezioni in senso proprio, non possono essere proposte, a termini dell'art. 190 cod. proc. civ., nel primo grado del giudizio, successivamente alla rimessione della causa al collegio. (Cass 10288/02) Inoltre, nelle cause - come quella di specie - regolate dal sistema del codice di rito posteriore alla entrata in vigore della novella del 26 novembre 1990 n. 353, costituiscono eccezioni nuove e, come tali, inammissibili in appello, ai sensi dell'art. 345 cod. proc. civ., tutte quelle che non sono rilevabili d'ufficio (v Cass 10685/02).

Nel caso di specie non è dubbio che l'eccezione di inassoggettabilità a fallimento dell'impresa ricorrente in ragione della sua natura artigiana non sia suscettibile di essere rilevata d'ufficio.

Va infatti osservato che è ben vero che il giudizio di opposizione alla sentenza di fallimento presenta un certo grado di officiosità, nel senso che sussiste il potere-dovere del giudice di riscontrare, anche d'ufficio, la sussistenza dello stato d'insolvenza e di ogni altro presupposto del fallimento medesimo, avvalendosi di tutti gli elementi comunque acquisiti, ivi inclusi quelli relativi alla fase processuale conclusasi con detta dichiarazione. (Cass 2539/00; Cass 2323/97), tuttavia tale carattere officioso riveste dei caratteri relativi perché opera pur sempre nell'ambito del principio generale dell'onere delle parti di fornire la prova delle rispettive allegazioni (Cass 2539/00; Cass 2323/97) per cui rimane comunque circoscritto alle domande ed alle eccezioni sollevate.

In tal senso il giudice può formare liberamente il proprio convincimento sulla base di tutti gli elementi di giudizio acquisiti in atti e nel fascicolo fallimentare senza essere vincolato alle conclusioni delle parti e del P.M, ma non può egli stesso sollevare d'ufficio questioni o eccezioni che non emergano di per sé dagli atti processuali e che necessitano pertanto di essere anzitutto dedotte dalle parti alle quali in tal caso compete l'onere anche della prova.

In altri termini, il potere officioso d'indagine e di valutazione del giudice resta circoscritto nell'ambito di tutto quanto risulta acquisito al processo senza che il giudice stesso possa assumere iniziative di ricerca di ulteriori elementi probatori o di sollevare eccezioni non ritualmente proposte dalle parti.

Questo principio si ricava anche da quanto già affermato da questa Corte in tema di procedimento in appello laddove si è rilevato che il principio, in forza del quale il giudice, senza alcun condizionamento relativo all'assolvimento dell'onere probatorio, può dedurre da ogni atto acquisito la prova della sussistenza o meno dei presupposti di detta dichiarazione, non implica una deroga ai principi fissati per l'appello dagli 'art. 342 e 346 cod. proc. civ., con la conseguenza che, in sede di gravame avverso la pronuncia del tribunale che abbia indagato su tali requisiti, il riesame del giudice di secondo grado resta consentito nei limiti in cui sia stato chiesto con specifici motivi d'impugnazione (Cass 6796/00) e sempre che non si siano verificate delle preclusioni (Cass 2539/90; Cass 2323/97).

Nel caso di specie, pertanto la irrituale proposizione della eccezione nel giudizio di primo grado ne ha precluso la riproposizione in appello stante il divieto di cui all'art. 345 cpc con conseguente impossibilità per il giudice di pronunciarsi su tale eccezione.

Il ricorso va pertanto respinto.

Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 1.500,00 per onorari oltre euro 100,00 di esborsi ed oltre accessori e spese generali come per legge.

 

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 1.500,00 per onorari euro 100,00 per esborsi ed oltre accessori e spese generali come per legge.

Roma 30.6.04

Depositata in cancelleria il 20 agosto 2004.