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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24382 - pubb. 20/10/2020.

Decorrenza del termine lungo per l'impugnazione del lodo


Cassazione civile, sez. I, 24 Settembre 2020. Pres. Giancola. Est. Scotti.

Lodo arbitrale - Impugnazione - Termine annuale - Decorrenza - Comunicazione dell'ultima sottoscrizione - Questione di massima di particolare importanza


La Prima sezione civile ha rimesso al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite, la questione di massima di particolare importanza, se il termine lungo di un anno per l’impugnazione del lodo arbitrale, ai sensi dell’art. 828 c.p.c., nel testo applicabile “ratione temporis”, possa decorrere non dall’ultima sottoscrizione dell’atto, ma dalla comunicazione alle parti della sua intervenuta sottoscrizione. (massima ufficiale)

 

Fatto

1. Con atto di citazione notificato il 13/6/2006 l'Associazione temporanea di imprese (a.t.i.) CIME s.r.l. - STIM s.r.l. ha convenuto in giudizio dinanzi alla Corte di appello di Bologna la soc.c.oop. a r.l. Orion, chiedendo l'annullamento del lodo pronunciato fra le parti in Reggio Emilia il 15/4/2005 da un collegio arbitrale e l'accoglimento nel merito delle domande sottoposte agli arbitri, come precisate all'udienza del 16/4/2013.

Si è costituita in giudizio Orion, chiedendo il rigetto dell'impugnazione e in subordine proponendo impugnazione incidentale, a cui l'a.t.i. CIME-STIM si è opposta, in quanto inammissibile o infondata.

La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 19/12/2013, ha dichiarato inammissibile l'impugnazione proposta in via principale perchè ritenuta d'ufficio tardiva, senza la necessità di sottoposizione preventiva del rilievo al contraddittorio delle parti, perchè attinente a questione di diritto di natura esclusivamente processuale e ha conseguentemente ritenuto inefficace l'impugnazione incidentale, a spese integralmente compensate.

2. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 17/12/2014 ha proposto ricorso per cassazione l'a.t.i. CIME-STIM, svolgendo due motivi.

2.1. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost. e in subordine prospetta questione di legittimità costituzionale in relazione all'art. 828 c.p.c., comma 2.

La ricorrente osserva che l'art. 828 nel testo risultante dalla riforma del 1994, applicabile ratione temporis, prevedeva la decadenza dall'impugnazione per nullità del lodo se proposta dopo il decorso di un anno dall'ultima sottoscrizione, mentre nel testo originario del codice il termine decorreva dalla data del provvedimento di esecutività del lodo.

Secondo la ricorrente, l'interpretazione offerta dalla Corte di appello, attribuendo rilevanza alla data di sottoscrizione del lodo a prescindere dal momento della comunicazione alle parti, si poneva in conflitto con il principio costituzionale del giusto processo; la ricorrente aggiunge che manca nella procedura di formazione del lodo ex artt. 823 e 824 c.p.c. il momento della "pubblicazione", poichè sono contemplati solo il momento di "deliberazione-redazione", non pubblico, e quello di "comunicazione", a differenza di quanto previsto per i provvedimenti giurisdizionali, la cui tempistica è invece scandita in tre momenti (deliberazione, pubblicazione e comunicazione).

Il lodo deliberato e redatto, ma non comunicato, rimane documento non conoscibile per le parti, salvo che per i suoi estensori, a differenza della sentenza, conoscibile attraverso l'accesso in cancelleria, sia pur dopo la pubblicazione.

Non può essere così legittimo - conclude la ricorrente - il computo nel termine per l'impugnazione dell'intervallo temporale tra l'ultima sottoscrizione e la comunicazione in cui il testo del lodo è ignoto alle parti.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e art. 183 c.p.c., comma 4, e lamenta che la Corte territoriale abbia pronunciato su questione rilevata d'ufficio, senza previa segnalazione alle parti, così pervenendo alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione attraverso una decisione "a sorpresa" o "della terza via", ignorando la comminatoria generale e astratta della sanzione di nullità.

2.3. L'intimata Orion non si è costituita nel giudizio di legittimità.

 

Motivi

1. Il Collegio ritiene che l'oggetto del primo motivo di ricorso, concernente il dies a quo del cosiddetto "termine lungo" per l'impugnazione del lodo arbitrale, configuri questione di massima di particolare importanza meritevole di sottoposizione alle Sezioni Unite di questa Corte ai sensi dell'art. 374 c.p.c., comma 2.

2. Nella fattispecie, concernente un lodo arbitrale pronunciato il 15/4/2005, occorre riferirsi all'art. 828 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis, in ragione della norma transitoria di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 4, secondo la quale le nuove disposizioni introdotte dal predetto decreto "si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente all'entrata in vigore del presente decreto (20/3/2006)".

2.1. Nel testo originario del codice di rito, risalente al R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443, l'art. 828 prevedeva che l'impugnazione per nullità si proponesse nel termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza, davanti al giudice del luogo in cui la sentenza era depositata. Competente per l'impugnazione era il pretore, il tribunale o la corte d'appello, secondo che per la causa decisa sarebbe stato competente il conciliatore, il pretore o il tribunale. L'impugnazione non era più proponibile, dopo il decorso un anno dalla data del provvedimento col quale era stato dichiarato esecutivo il lodo.

2.2. Con la riforma del 1994, l'art. 828 c.p.c., primi due commi sostituito dalla L. 5 gennaio 1994, n. 25, art. 20 recitavano: "L'impugnazione per nullità si propone, nel termine di novanta giorni dalla notificazione del lodo, davanti alla corte d'appello, nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato. L'impugnazione non è più proponibile decorso un anno dalla data dell'ultima sottoscrizione.".

L'art. 825 c.p.c., comma 1, modificato dalla L. 5 gennaio 1994, n. 25, art. 17 e dal D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, art. 116 prevedeva che gli arbitri redigessero il lodo in tanti originali quante sono le parti e ne dessero "comunicazione a ciascuna parte mediante consegna di un originale, anche con spedizione in plico raccomandato, entro dieci giorni dalla data dell'ultima sottoscrizione."

Come si è detto, il lodo in questione è soggetto ratione temporis alla disciplina appena ricordata, poichè la domanda di arbitrato era stata introdotta prima del 20/3/2006.

2.3. L'attuale disciplina, scaturente dalle modifiche apportate al codice dalla riforma del 2006 (D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), non comporta divergenze sostanziali ai fini che interessano rispetto alla normativa del 1994.

L'art. 828, nei suoi primi due commi, dispone infatti "L'impugnazione per nullità si propone, nel termine di novanta giorni dalla notificazione del lodo, davanti alla corte d'appello nel cui distretto è la sede dell'arbitrato. L'impugnazione non è più proponibile decorso un anno dalla data dell'ultima sottoscrizione."

L'art. 824 riproduce, con modeste e apparentemente irrilevanti divergenze il contenuto dell'art. 825 c.p.c., comma 1 nel testo scaturito dalla riforma del 1994, perchè prevede "Gli arbitri redigono il lodo in uno o più originali. Gli arbitri danno comunicazione del lodo a ciascuna parte mediante consegna di un originale, o di una copia attestata conforme dagli stessi arbitri, anche con spedizione in plico raccomandato, entro dieci giorni dalla sottoscrizione del lodo.".

2.4. Tanto premesso, il Collegio rileva il perdurante interesse nomofilattico alla soluzione della questione di diritto che non può ritenersi circoscritta alla normativa applicabile in forza della disciplina transitoria e si propone in termini analoghi anche con riferimento alla attuale regolazione dell'impugnazione per nullità del lodo arbitrale.

2.5. La questione di diritto oggetto del primo motivo sembra suscettibile di una pluralità di soluzioni.

3. Una prima scelta interpretativa, già accolta nella giurisprudenza di questa Corte, conduce al rigetto delle tesi della ricorrente e dei dubbi di illegittimità costituzionale da questa accampati.

3.1. Si è detto che i primi due commi dell'art. 828 c.p.c. recitavano: "L'impugnazione per nullità si propone, nel termine di novanta giorni dalla notificazione del lodo, davanti alla corte d'appello, nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato" e "L'impugnazione non è più proponibile decorso un anno dalla data dell'ultima sottoscrizione.".

Erano così previsti due termini per impugnare il lodo, analogamente a quanto previsto dagli artt. 325 e 327 c.p.c. per le sentenze dell'autorità giudiziaria ordinaria, e cioè un termine "breve", decorrente dalla data di notificazione del lodo, e un termine "lungo", decorrente dalla data dell'ultima sottoscrizione degli arbitri.

L'art. 825 c.p.c., comma 1, nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, prevedeva, come ora fa l'art. 824 c.p.c., che gli arbitri dovessero dare comunicazione del lodo a ciascuna parte mediante consegna di un originale, anche con spedizione in plico raccomandato, entro dieci giorni dalla data dell'ultima sottoscrizione.

La legge fa così decorrere il termine "lungo" per impugnare dalla data dell'ultima sottoscrizione apposta al lodo.

3.2. A fronte del chiaro e - forse - insuperabile dato testuale potrebbero essere ritenute non pertinenti e ininfluenti le pur suggestive argomentazioni con le quali la ricorrente sottolinea le differenze nell'iter che conduce le parti alla conoscenza della sentenza dei giudici ordinari (attraverso tre scansioni: deliberazione, pubblicazione, comunicazione) e del lodo arbitrale (attraverso due scansioni: deliberazione, comunicazione) ed enfatizza la mancanza, quanto al lodo, del momento della pubblicazione.

Si potrebbe infatti obiettare che le predette diversità scaturiscono dalla diversa natura delle attività che conducono alla formazione della decisione, e in particolare sono determinate dall'inserzione organica dei giudici ordinari nell'apparato pubblico dell'amministrazione della giustizia, in tal modo producendo differenze di disciplina che rientrano a pieno titolo nella discrezionalità del legislatore.

3.3. In questa prospettiva, ai sensi della Legge Cost. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23 potrebbero dissolversi i sospetti di illegittimità costituzionale delle norme di diritto positivo avanzati da parte ricorrente con riferimento agli artt. 3,24 e 111 Cost. e quindi al principio di eguaglianza, al diritto di difesa e alle regole del giusto processo.

Per un verso, quanto all'art. 3 Cost., la modesta diversificazione delle date di decorrenza dei termini per impugnare le sentenze e i lodi arbitrali potrebbe trovare ragionevole giustificazione, come si è detto, nella differente natura dei provvedimenti e nell'intervento nel procedimento di formazione delle sentenze, dell'amministrazione statale, che attraverso i propri funzionari di cancelleria provvede a renderle pubbliche.

Per altro verso, quanto al diritto di difesa e ai principi del giusto processo nel cui alveo esso deve essere esercitato, la lievissima compressione quantitativa del termine concesso dalla legge per l'esercizio del diritto di impugnazione, corrispondente, nelle argomentazioni della ricorrente, all'intervallo temporale che separa l'apposizione dell'ultima sottoscrizione degli arbitri e la comunicazione del provvedimento alle parti, al cui proposito la legge assegna dieci giorni di tempo (art. 825 e ora art. 824 c.p.c.), potrebbe essere ritenuta priva di concreto significato e di apprezzabile capacità lesiva, tanto più, se rapportata al lungo periodo temporale di un anno previsto dall'art. 828 c.p.c. quale "termine lungo", ampiamente idoneo a garantire agli interessati l'esame delle statuizioni, la ponderazione delle scelte e la predisposizione di un congruo atto di impugnazione.

Tale valutazione esce rafforzata, ove ci si soffermi, in una visione panoramica dell'ordinamento, a riflettere sui seguenti elementi in ordine alla congruità del termine concesso dalla legge: attualmente l'art. 327 c.p.c. commina la decadenza dall'impugnazione delle sentenze con il decorso di sei mesi; in caso di notifica della sentenza i termini per la proposizione delle impugnazioni sono rispettivamente di trenta giorni per l'appello e di sessanta giorni per il ricorso per cassazione; l'appello avverso le ordinanze decisorie ex art. 702 quater c.p.c. va proposto entro trenta giorni dalla comunicazione o notificazione; il termine per proporre ricorso per cassazione avverso la decisione in materia di riconoscimento della protezione internazionale è di trenta giorni D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35 bis, comma 13.

3.4. E' il caso di aggiungere che la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 327 c.p.c., comma 1, censurato, in riferimento all'art. 24 Cost., nella parte in cui, prevedendo la decorrenza del termine annuale per l'impugnazione dalla pubblicazione della sentenza, anzichè dalla sua comunicazione a cura della cancelleria, non assicurerebbe alle parti il diritto di difesa costituzionalmente garantito, poichè alle stesse non sarebbe assicurato il godimento per intero del termine per impugnare.

E' stato al proposito ritenuto che la norma censurata operasse un non irragionevole bilanciamento tra l'indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa, in quanto l'ampiezza del termine annuale consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda, facendo uso della diligenza dovuta in rebus suis; inoltre la decorrenza fissata con riferimento alla pubblicazione è un corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, sicchè lo spostamento del dies a quo dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo, ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata ex officio (Corte Costituzionale, 25/07/2008, n. 297).

3.5. Sostanzialmente in questi termini si è espresso l'unico precedente reperito nella giurisprudenza di questa Corte (Sez.6-1, 5/9/2018 n. 21648) che ha disatteso la proposta di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 828 c.p.c., comma 2, secondo la quale il termine lungo per l'impugnazione del lodo prenderebbe a decorrere solo dalla data in cui le parti abbiano avuto conoscenza legale della pronuncia.

In tale ordinanza la Corte ha affermato "L'art. 828 c.p.c., comma 2, conferisce rilievo, ai fini della decorrenza del termine annuale, al momento in cui è apposta l'ultima sottoscrizione. La disposizione si spiega col rilievo per cui il lodo, salvo quanto disposto dall'art. 825 c.p.c. ai fini dell'esecutività, produce gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria proprio dalla data della sua ultima sottoscrizione (art. 824 bis c.p.c.). In tal senso, può stabilirsi una corrispondenza tra la pubblicazione della sentenza - con cui il provvedimento viene ad esistenza e comincia a produrre i suoi effetti (e da cui pure inizia a decorrere il termine c.d. lungo per impugnare: art. 327 c.p.c., comma 1) e l'attività consistente nell'apposizione della suddetta ultima sottoscrizione. L'assunto dei ricorrenti, secondo cui l'art. 828 c.p.c., comma 2, andrebbe sottoposto a una interpretazione costituzionalmente orientata, e ciò nel senso di ritenere che il termine annuale debba decorrere dal momento in cui la parte abbia avuto conoscenza legale del lodo, non ha fondamento. Sul punto, proprio in considerazione della rilevata simmetria delle discipline concernenti il termine lungo per impugnare, rispettivamente, il lodo arbitrale e la sentenza, paiono spendibili le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale, con riferimento alla prescrizione contenuta nell'art. 327 c.p.c., comma 1. E' stato evidenziato, in proposito, che quest'ultima disposizione opera un non irragionevole bilanciamento tra l'indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa. Infatti - è stato spiegato - l'ampiezza del termine annuale consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda, facendo uso della diligenza dovuta in rebus suis; la decorrenza fissata con riferimento alla pubblicazione è dunque un corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, sicchè lo spostamento del dies a quo dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo, ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata ex officio (Corte Cost., sent. n. 297 del 2008). Non può essere dunque condiviso l'argomento delle amministrazioni ricorrenti che valorizzano, ai fini della decorrenza del termine annuale di impugnazione, il momento della comunicazione del lodo alle parti (art. 824 c.p.c.). Nè si vede perchè mai il suddetto termine debba farsi decorrere dal deposito del lodo: attività, quest'ultima, del tutto eventuale, siccome correlata all'exequatur del lodo stesso.".

4. Una diversa esegesi - intermedia fra le tesi estreme - potrebbe essere prospettata sulla base del collegamento fra l'art. 828 c.p.c., comma 2, e l'art. 825 c.p.c., comma 1, per considerare la fisiologica decurtazione dal termine annuale decorrente dall'ultima sottoscrizione arbitrale dei dieci giorni concessi dalla legge agli arbitri per la comunicazione del lodo alle parti.

4.1. E' evidente, innanzitutto che anche siffatto termine (un anno meno dieci giorni), ampiamente superiore a quello attualmente concesso dalla legge per l'impugnazione delle sentenze non notificate, è sicuramente congruo per consentire alle parti di ponderare le proprie scelte e predisporre gli atti di impugnazione.

4.2. E' pur vero che gli arbitri potrebbero, in violazione, dolosa o colposa, dei loro doveri o anche accidentalmente, non provvedere alla comunicazione del lodo alle parti o provvedervi con rilevante ritardo.

Tuttavia l'art. 153 c.p.c., comma 2, attualmente consente alla parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile di chiedere al giudice di essere rimessa in termini e tale istituto viene ritenuto suscettibile di applicazione anche in tema di atti di impugnazione. Anche l'istituto della rimessione in termini di cui all'art. 184 bis c.p.c. (nella formulazione anteriore all'abrogazione disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46 e applicabile ai procedimenti instaurati prima dell'entrata in vigore di tale legge) è stato letto estensivamente alla luce dei principi costituzionali di effettività del contraddittorio e delle garanzie difensive, sì da trovare applicazione non solo nel caso di decadenza dai poteri processuali di parte interni al giudizio di primo grado, ma anche nel caso di decadenza dall'impugnazione per incolpevole decorso del termine (Sez. 6 - 3, n. 17704 del 29/07/2010, Rv. 615150 - 01; Sez. 5, n. 3277 del 02/03/2012, Rv. 622005 - 01; Sez. 2, n. 9792 del 14/06/2012, Rv. 622726 - 01; Sez. 6 - 5, n. 8715 del 15/04/2014, Rv. 630296 - 01; Sez. 1, n. 18860 del 12/07/2019, Rv. 654665 - 01; Sez. 6 - 5, n. 4585 del 21/02/2020, Rv. 657317 - 01; Sez. U., n. 32725 del 18/12/2018, in motivazione).

4.3. E' opportuno precisare che nel caso concreto il Presidente del collegio arbitrale ha comunicato alle parti il 6/5/2005 il lodo sottoscritto il 15/4/2005: quindi il lodo avrebbe dovuto essere comunicato entro 10 giorni, ossia entro il martedì 26/4/2005, primo giorno feriale successivo al festivo 25/4/2005.

Volendo neutralizzare i dieci giorni del ritardo, ma non i dieci giorni del termine fisiologico concesso agli arbitri per la comunicazione, l'impugnazione proposta dalla ricorrente sarebbe stata comunque tardiva.

Infatti, pur tenendo conto, secondo la non contrastata giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 6362 del 06/06/1995, Rv. 492702 - 01; Sez. 1, n. 6698 del 23/05/2000, Rv. 536807 - 01) della sospensione feriale dei termini (allora 46 giorni) e dei dieci giorni di ritardo arbitrale predetti e quindi di 56 giorni, occorre rilevare che l'impugnazione è stata proposta il 13/6/2006, ossia 59 giorni dopo il decorso dell'anno maturato in data 15/4/2006 e quindi comunque tardivamente.

4.4. Ulteriore riflessione, per vero non sollecitata dalla ricorrente e neppure confortata dalla deduzione delle circostanze fattuali, potrebbe meritare la natura recettizia della comunicazione arbitrale diretta a provocare la conoscenza del lodo in capo alle parti, per sostenere su queste basi la decorrenza del termine lungo dalla ricezione della comunicazione arbitrale, piuttosto che dal suo invio.

Senonchè tale suggestione pare entrare in rotta di collisione con la natura necessariamente monolitica del termine "lungo" preclusivo dell'impugnazione che sembra esigere un fondamento obiettivo e unitario per tutte le parti del processo.

5. Il Collegio ritiene infine percorribile anche la diversa linea ermeneutica sollecitata dalla ricorrente per proporre quella interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina illustrata, disattesa nel precedente citato (ord. 21648/2018), volta a scongiurare il paventato contrasto fra la decorrenza del termine preclusivo dell'impugnazione e la mancanza di conoscenza legale in capo alle parti dell'esistenza ed efficacia inter partes del lodo; questa nella disciplina attuale scatta ex art. 824 bis c.p.c. dalla data della sua ultima sottoscrizione che gli attribuisce gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria.

5.1. In altri termini si tratterebbe di leggere l'art. 828, comma 2 in correlazione con l'obbligo della comunicazione del lodo alle parti sancito in passato dall'art. 825 ed ora dall'art. 824, per escludere che il termine prenda a decorrere prima di tale adempimento ed evitare così che la parte interessata possa subire un pregiudizio per il mancato svolgimento di un'attività processuale in un ambito temporale nel quale ignora incolpevolmente di doverla svolgere.

5.2. L'adozione di questa opzione, in passato esclusa, potrebbe ricevere conforto da una recente decisione della Corte Costituzionale (sentenza 22/1/2015 n. 3), resa con riferimento al caso della diversità di date di deposito e pubblicazione della sentenza civile.

L'origine della questione è stata la pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte che avevano affermato che a norma dell'art. 133 c.p.c., la consegna dell'originale completo del documento-sentenza al cancelliere, nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata, avvia il procedimento di pubblicazione, il quale si compie, senza soluzione di continuità, con la certificazione del deposito mediante l'apposizione, in calce al documento, della firma e della data del cancelliere, che devono essere contemporanee alla data della consegna ufficiale della sentenza, in tal modo resa pubblica per effetto di legge. Era stato escluso di conseguenza che il cancelliere, preposto, nell'espletamento di tale attività, alla tutela della fede pubblica (art. 2699 c.c.), possa attestare che la sentenza, già pubblicata, ai sensi dell'art. 133 c.c., alla data del suo deposito, viene pubblicata in data successiva, con la conseguenza che, ove sulla sentenza siano state apposte due date, una di deposito, senza espressa specificazione che il documento contiene soltanto la minuta del provvedimento, e l'altra di pubblicazione, tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza decorrono già dalla data del suo deposito (Sez. U, n. 13794 del 01/08/2012, Rv. 623301 - 01).

Preso atto di tale orientamento giurisprudenziale di legittimità, costituente "diritto vivente", la Consulta ha ritenuto fondata, nei termini indicati in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli art. 133 c.p.c., commi 1 e 2, e art. 327 c.p.c., comma 1, nel testo anteriore alla modifica apportata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 17, così interpretati, censurati nella parte in cui, qualora le attività di deposito della sentenza e di effettiva pubblicazione della stessa abbiano luogo in due momenti diversi, farebbero decorrere tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza dalla data del suo deposito, con conseguente disparità di trattamento (art. 3 Cost., comma 2) e irragionevole lesione della pienezza e della certezza del diritto di difesa delle parti costituite in giudizio (art. 24 Cost., commi 1 e 2).

Secondo la Consulta nella procedura di pubblicazione disciplinata dall'art. 133 c.p.c. che si articola nel deposito della sentenza da parte del giudice e nella presa d'atto del cancelliere, l'atto fondamentale è il primo, alla stregua, oltre che del dato letterale ("la sentenza è resa pubblica mediante deposito"), di quello sostanziale, essendo tale soluzione interpretativa l'unica coerente con il diverso ruolo del cancelliere e del giudice. La separazione temporale dei due passaggi procedimentali che viene a crearsi con l'apposizione di due date, comporta al contrario il trasferimento dell'effetto "pubblicazione" dal primo al secondo. Si tratta di una patologia procedimentale grave per la sua rilevante incidenza sulle situazioni giuridiche degli interessati, riflesso del tardivo adempimento delle operazioni previste dall'art. 133 c.p.c., e di quelle relative all'inserimento nell'elenco cronologico delle sentenze e al processo telematico.

Pertanto, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, per costituire dies a quo del termine per l'impugnazione, la data apposta in calce alla sentenza dal cancelliere deve essere qualificata dalla contestuale adozione delle misure volte a garantirne la conoscibilità e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, situazione che, in presenza di una seconda data, deve ritenersi di regola realizzata solo in corrispondenza di quest'ultima. Il ritardato adempimento, attestato dalla diversa data di pubblicazione, rende di fatto inoperante la dichiarazione dell'intervenuto deposito, pur se formalmente rispondente alla prescrizione normativa, e qualora ciò accada, il ricorso all'istituto della rimessione in termini per causa non imputabile (art. 153 c.p.c.) va inteso come doveroso riconoscimento d'ufficio di uno stato di fatto contra legem che, in quanto imputabile alla sola amministrazione giudiziaria, non può in alcun modo incidere sul fondamentale diritto all'impugnazione, riducendone, talvolta anche in misura significativa, i relativi termini (Corte Costituzionale, 22/01/2015, n. 3).

Anche se tale orientamento si riferisce alla procedura di pubblicazione della sentenza civile e si fonda essenzialmente sulla natura del procedimento di pubblicazione, per sgravare la parte interessata dalle conseguenze di un colpevole ritardo amministrativo nella pubblicazione che dovrebbe essere contestuale, la linea argomentativa potrebbe essere ritenuta trasponibile al lodo arbitrale per neutralizzare l'intervallo in cui il termine scorre senza che la parte interessata possa ancora saperlo. Secondo la Corte Costituzionale infatti, per costituire dies a quo del termine per l'impugnazione, la data "deve essere qualificata dalla contestuale adozione delle misure volte a garantirne la conoscibilità e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, situazione che, in presenza di una seconda data, deve ritenersi di regola realizzata solo in corrispondenza di quest'ultima", sicchè il ritardato adempimento "rende di fatto inoperante la dichiarazione dell'intervenuto deposito".

5.3. Inoltre le parti del procedimento arbitrale, per quanto solerti e diligenti, non hanno la possibilità di attivarsi periodicamente per verificare il deposito della decisione, mediante il controllo dei registri di cancelleria, come possono fare per le pronunce dell'autorità giudiziaria.

5.4. Il Collegio ritiene percorribile anche l'esposta soluzione dell'adozione di una interpretazione costituzionalmente orientata del combinato disposto dell'art. 828 c.p.c., comma 2 e art. 825 c.p.c., comma 1, (ora art. 828 c.p.c., comma 2 e art. 825 c.p.c., comma 1) nel senso di far decorrere il termine annuale preclusivo dell'impugnazione dalla comunicazione del lodo ad opera degli arbitri; ovvero, subordinatamente, per l'ipotesi di ritenuto ostacolo semantico a tale scelta interpretativa frapposta dalla insuperabile lettera della legge, potrebbe essere valutata come non manifestamente infondata la proposta questione di legittimità costituzionale della disciplina in precedenza ricostruita.

6. Il Collegio ritiene pertanto che la causa debba essere all'esame del Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione perchè valuti la sua eventuale assegnazione alle Sezioni Unite civili, in quanto essa presuppone la necessaria soluzione di una questione di massima di particolare importanza, ai sensi dell'art. 374 c.p.c., comma 2, u.p..

 

P.Q.M.

Rimette la causa al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 14 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020.