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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 2452 - pubb. 01/08/2010.

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Cassazione civile, sez. I, 05 Maggio 2010, n. 10900. Rel., est. Bernabai.

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Apertura (dichiarazione) di fallimento - Sentenza dichiarativa - Opposizione - In genere - Opposizione ex art. 18 della legge fall. (nel testo previgente) - Sentenza - Pronuncia da parte dello stesso collegio del fallimento - Nullità ex art. 158 cod. proc. civ. - Esclusione - Incompatibilità ai sensi dell'art. 51 n. 4 cod. proc. civ. - Configurabilità - Conseguenze - Obbligo di astensione - Sussistenza - Conseguenze - Istanza di ricusazione - Necessità.


La sentenza emessa in primo grado nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento, ai sensi degli art. 18 e 19 della legge fall. (nel testo previgente, applicabile "ratione temporis"), dallo stesso collegio che ha provveduto alla dichiarazione di fallimento, non è affetta da nullità per vizio di costituzione del giudice ma, avendo il giudizio di opposizione il carattere e la funzione sostanziale di un giudizio d'impugnazione di secondo grado, integra l'ipotesi di astensione obbligatoria prevista dall'art. 51 n. 4 cod. proc. civ., da far valere esclusivamente mediante tempestiva e rituale istanza di ricusazione formulata ai sensi dell'art. 52 cod. proc. civ. nel corso del procedimento ove si sia verificata l'incompatibilità. (massima ufficiale)

Massimario, art. 18 l. fall.

Massimario, art. 19 l. fall.

Massimario, art. 25 l. fall.

  

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado - Presidente -
Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere -
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -
Dott. BERNABAI Renato - rel. Consigliere -
Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 9966-2005 proposto da:
PINTO GIOVANNI (c.f. PNTGNN39B13A783V), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 74, presso l'avvocato IACOBELLI GIANNI EMILIO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO PINTO GIOVANNI, DE IOANNI FRANCESCO, ROMANO GIOVANNI;
- intintati -
contro
GOODYEAR DUNLOP TIRES ITALIA S.P.A. (C.F. 06323201001), già GOODYEAR ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALADIER 43, presso l'Avvocato ROMANO GIOVANNI, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio dott.ssa MARIA LUISA ZECCA di ROMA - Rep. n. 74059 del 19.10.05;
- resistente -
sul ricorso 13274-2005 proposto da:
ROMANO GIOVANNI (c.f. RMNGNN53A16F839E), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALADIER 43, presso il proprio studio, rappresentato e difeso da se medesimo;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
PINTO GIOVANNI;
- intimato -
sul ricorso 13275-2005 proposto da:
DE IOANNI FRANCESCO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALADIER 43, presso l'avvocato ROMANO GIOVANNI, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
PINTO GIOVANNI;
- intimato -
avverso la sentenza n. 2819/2004 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 08/10/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/02/2010 dal Consigliere Dott. RENATO BERNABAI;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato GIANNI EMILIO IACOBELLI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale; il rigetto dei ricorsi incidentali;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza emessa il 14 luglio 2000 il Tribunale di Benevento dichiarava il fallimento dell'impresa individuale di Pinto Giovanni, su ricorso della Goodyear italiana s.p.a.. La conseguente opposizione era respinta dal medesimo tribunale con sentenza 12 novembre 2002, con condanna del Pinto alla rifusione delle spese processuali sostenute dai creditori costituitisi in giudizio.
La Corte d'appello di Napoli respingeva i successivo gravame del Pinto, con sentenza emessa in data 8 ottobre 2004.
Motivava:
- che era infondata l'eccezione di nullità della sentenza di primo grado per illegittima composizione del collegio giudicante a causa della presenza degli stessi magistrati che avevano concorso a dichiarare il fallimento, dal momento che tale situazione costituiva, in ipotesi, una causa di ricusazione, il cui mancato esercizio precludeva la successiva doglianza;
- che era altresì infondata l'eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Napoli, perché il trasferimento della sede da Benevento a Ostuni non aveva comportato l'effettivo esercizio di attività imprenditoriale nella nuova località: come dimostrato da un certificato del sindaco di Ostuni, sulla base di un rapporto informativo della polizia amministrativa, e dalla conforme relazione del curatore, ex art. 33, L. Fall., secondo cui al trasferimento non aveva fatto seguito altro che l'allestimento propedeutico dei locali, senza alcuna concreto ed effettivo atto di esercizio di impresa;
- che sussisteva il requisito oggettivo dello stato d'insolvenza: sia perché la transazione stipulata con la creditrice ricorrente Goodyear s.p.a. non aveva efficacia novativa, lasciando a quest'ultima la potestà di tutelare i propri diritti "in presenza di qualsiasi fatto di qualsiasi natura idoneo ad alterare minimamente le clausole del contratto", sia perché dallo stato passivo emergeva un'esposizione debitoria di oltre L. 3 miliardi, soverchiante rispetto al valore dei beni immobili appartenenti solo pro quota all'imprenditore, in regime di comunione legale con il coniuge. Avverso la sentenza, non notificata, il Pinto proponeva ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi ed ulteriormente illustrato con successiva memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Deduceva:
1) la violazione dell'art. 9, L. Fall., nonché l'insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine al rigetto dell'eccezione di incompetenza del Tribunale di Benevento;
2) la violazione degli artt. 1198, 1267, 1362, 1363 e 1976 cod. civ., ed inoltre la carenza di motivazione in relazione al diniego della natura novativa della transazione conclusa con la creditrice ricorrente Goodyear;
3) La violazione della L. 8 agosto 1985, n. 443, art. 2, (Legge- Quadro per l'artigianato), dell'art. 2083 cod. civile, nonché la carenza di motivazione per l'omesso accertamento della natura di piccolo imprenditore artigiano esente da fallimento. 4) la violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo in relazione all'eccepita nullità della sentenza di primo grado, per incompatibilità dei magistrati componenti dei collegio giudicante sull'opposizione ex art. 18, L. Fall., che in precedenza avevano deliberato la dichiarazione di fallimento; nonché l'inosservanza degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e la carenza di motivazione per violazione del diritto alla prova sulla cessazione dell'attività imprenditoriale in Benevento fin dall'agosto del 1998 e sulla piena conoscenza da parte della Goodyear s.p.a. delle sue condizioni economiche; ed inoltre, per omessa ammissione di consulenza tecnica d'ufficio volta ad accertare l'oggettivo valore commerciale dei beni di sua proprietà fallito e le condizioni di salute che l'avevano costretto a cessare l'attività in Ostuni.
Resistevano l'avv. Giovanni Romano ed il sig. Francesco De Ioanni, creditori ammessi allo stato passivo, con controricorsi, contenenti altresì ricorso incidentale, illustrato con successiva memoria, sulla compensazione delle spese del secondo grado di giudizio.
All'udienza del 24 Febbraio 2010 il P.G. ed il difensore del Pinto precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate. Il difensore redigeva altresì note di replica in udienza. MOTIVI DELLA DECISIONE
Dev'essere preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale n. 9966 R.G. 2005 e dei ricorsi incidentali n. 13274 R.G. 2005 e n. 13.275 R.G. 2005, tutti proposti avverso la stessa sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).
Con il primo motivo il ricorrente deduce insufficiente contraddittoria motivazione nonché la violazione dell'art. 9, L. Fall. in relazione alla sollevata eccezione di incompetenza del Tribunale di Benevento.
Il motivo è infondato.
Sotto il profilo della violazione di legge, si osserva che la Corte d'appello di Napoli ha fatto corretta applicazione del principio, ripetutamente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, che nega efficacia al trasferimento della sede legale non seguita da concreti atti di esercizio dell'attività imprenditoriale. La competenza del tribunale del luogo in cui l'imprenditore ha la sede principale dell'impresa (art. 9, L. Fall.), in cui si svolge in misura prevalente l'attività amministrativa e direttiva, s'identifica, in concreto, in via presuntiva sulla base della sede legale. Ma tale presunzione viene superata dalla prova del carattere fittizio del trasferimento del centro propulsore dell'impresa; e tanto più, nell'imminenza della dichiarazione di fallimento, in epoca successiva al palesarsi dello stato di insolvenza (Cass., sez. 1, 29 aprile 2006, n. 10.051; Cass., sez. 1, 12 luglio 1999, n. 7331).
Il principio resta valido anche dopo la riforma fallimentare del 2006- 2007; e perfino con riguardo at trasferimento all'estero dell'impresa (Cass., sez. unite, 13 ottobre 2008, n. 25.038; Cass., sez. unite, 20 maggio 2005, n. 10.606).
L'accertamento operato dalla corte territoriale circa la concreta ubicazione dell'impresa Pinto alla data di proposizione del ricorso appare, poi, congruamente motivata con riferimento al certificato del sindaco di Ostuni e alla relazione ex art. 33, L. Fall. del curatore: concordi nell'assegnare all'attività svolta nella nuova sede legale di Ostuni mera natura propedeutica, in costanza di uno stato di decozione già maturato. Non vi sono vizi logici nell'impianto argomentativo della decisione, che non può essere sindacato nel merito in questa sede. Nè merita censura la mancata ammissione dei mezzi istruttori dedotti, rientrante nella discrezionalità del giudice e nella specie congruamente motivata con riferimento all'inidoneità, per genericità, dei capitoli di prova testimoniale a contrastare le prove qualificate già raccolte. Con il secondo motivo il ricorrente censura la violazione di legge e la carenza di motivazione sull'esclusione della natura novativa della transazione conclusa con la creditrice Goodyear.
Il motivo è inammissibile, sia perché si risolve in una difforme ricostruzione della volontà delle parti, sulla base di una valutazione di merito che non può trovare ingresso in questa sede;
sia, soprattutto, perché non incide sull'ulteriore ed autonoma ratio decidendi in ordine alla sussistenza dello stato d'insolvenza, fondata sulle risultanze dello stato passivo, palesanti una notevolissima sproporzione tra l'esposizione debitoria e il valore, prò quota, degli immobili di cui era comproprietario il Pinto: la cui eventuale alienazione, non costituirebbe, del resto, mezzo ordinario di pagamento, significativo della capacità dell'imprenditore di r adempiere le obbligazioni con mezzi normali (art. 5, L. Fall.).
Il motivo di ricorso è infatti incentrato sulla sola contestazione dell'esigibilità del credito della Goodyear, creditrice istante per la dichiarazione di fallimento; ed anche sotto quest'unico profilo, non tiene conto del rilievo che il fallimento è stato dichiarato d'ufficio, in applicazione dell'art. 6, L. Fall., nel testo ratione temporis vigente, dopo la desistenza della Goodyear espressa alla vigilia dell'udienza collegiale.
La doglianza appare, quindi, già in astratto inidonea ad infirmare l'accertamento dello stato di decozione. Non senza aggiungere, per completezza di analisi, che l'impianto argomentativo della sentenza, nella parte in cui esclude la natura novativa della transazione, appare immune da mende, basato com'è sul dato testuale della mancanza di alcuna volontà di rinunzia al proprio credito e alle espropriazioni in corso da parte della creditrice Goodyear. Con il terzo motivo si deduce la violazione della L. 8 agosto 1985, art. 2, n. 443 (Legge-Quadro per l'artigianato), e dell'art. 2083 cod. civ., nonché la carenza di motivazione per l'omesso accertamento della natura di piccolo imprenditore artigiano, esente da fallimento.
Il motivo è inammissibile, risolvendosi in una difforme valutazione degli elementi di fatto apprezzati dalla corte territoriale, avente natura di merito che non può trovare ingresso in questa sede. Sul punto, la corte territoriale ha messo adeguatamente in rilievo che l'attività svolta dal Pinto in Benevento è stata oggetto di trasferimento ad Ostuni, ove però non è andata oltre la fase propedeutica dell'allestimento dei locali e dell'iscrizione nell'albo degli artigiani. Esclusa la natura costitutiva di quest'incombente, appare corretta la statuizione che l'attività imprenditoriale in precedenza svolta non abbia subito concrete modificazioni, tali da comportare la perdita della qualità di imprenditore commerciale sicuramente ascrivibile al Pinto per le dimensioni del volume d'affari della sua azienda in Benevento (neppure da lui contestate in sede di appello, come rilevato in sentenza).
Con l'ultimo motivo il ricorrente denunzia varie violazioni di legge processuale e sostanziale e la carenza di motivazione, con lesione del diritto alla prova sulla cessazione dell'attività imprenditoriale in Benevento fin dall'agosto del 1998 e sulla piena conoscenza da parte della Goodyear s.p.a. delle sue condizioni economiche; ed inoltre, per omessa ammissione di consulenza tecnica d'ufficio.
Il motivo, che raggruppa promiscuamente critiche di contenuto affatto diverso, è infondato.
Per quanto concerne l'eccepita nullità della sentenza di primo grado per incompatibilità dei magistrati componenti del collegio giudicante, si osserva come la questione dovesse essere oggetto di istanza di ricusazione, la cui omissione preclude ogni possibile censura postuma, fuori dell'ipotesi di cui all'art. 51 c.p.c., n. 1, ritenuta, per giurisprudenza costante, insensibile alla preclusione. Al riguardo, si osserva come la Corte costituzionale con sentenza 23 dicembre 2005, n. 460 (successiva, quindi, al ricorso in esame), pur rilevando che il processo di opposizione al fallimento, ex art. 18, L. Fall., è solo apparentemente bifasico, mentre in realtà si articola in due momenti, il secondo dei quali assume il valore di vera e propria impugnazione di un provvedimento decisorio potenzialmente definitivo (ancorché realizzato con modalità deformalizzate) e acquista pertanto carattere di un altro grado del processo (tale, da integrare, quindi, l'ipotesi di astensione obbligatoria ex art. 51 c.p.c., n. 4), nondimeno abbia poi dichiarato infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4, escludendo l'esistenza di un diritto vivente sull'inesistenza dell'obbligo di astensione dal giudizio del magistrato che abbia in precedenza fatto parte del collegio che ha dichiarato il fallimento opposto. Ha quindi implicitamente aderito a quella giurisprudenza, in realtà prevalente, di questa Corte, secondo cui l'incompatibilità sussisteva, ma doveva essere fatta valere con rituale e tempestiva istanza di ricusazione (Cass., sez. 1, 1 luglio 2004 n. 12.029; Cass., sez. 1, 13 aprile 2004 n. 7002, Cass., sez. 1, 23 ottobre 1998 n. 10.527).
Alla luce di tali precedenti, si deve dunque ribadire che il magistrato che versi in una situazione di incompatibilità quale quella denunziata, comportante l'obbligo di astensione, è judex suspectus, ma non giudice incapace ex art. 158 cod. proc. civ.. In ordine alle ulteriori censure, si osserva come esse si risolvano, ancora una volta, in una diversa valutazione degli elementi di fatto sottratta al sindacato di legittimità.
Inammissibile si palesa, pure, la critica relativa alla mancata ammissione dei mezzi istruttori.
Della prova testimoniale non è stata neppure riportato, nel ricorso, il testo articolato in distinti capitoli, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso. E comunque la sentenza, nel giudicarla irrilevante e generica a fronte delle precise emergenze probatorie documentali - alcune delle quali di particolare affidabilità, perché provenienti dalla Pubblica amministrazione - ha motivato congruamente la sua decisione istruttoria, che resta pertanto insuscettibile di riesame nel merito.
Del pari inammissibile appare la doglianza relativa alla mancata ammissione di consulenza tecnica sul valore degli immobili, già in limine inidonea ad escludere lo stato di insolvenza, consistente nell'incapacità di adempiere te proprie obbligazioni: nella specie, dimostrata dal mancato pagamento delle cambiali rilasciate alla ricorrente Goodyear.
Nè tale presupposto oggettivo del fallimento può certo dirsi incompatibile con la comproprietà indivisa di cespiti immobiliari;
oltretutto, di valore di gran lunga insufficiente a coprire l'esposizione debitoria risultante dallo stato passivo. Il ricorso principale è dunque infondato e va respinto È pure infondato il ricorso incidentale dell'avv. Romano e del sig. De Ioanni, censurante l'immotivata compensazione delle spese del grado d'appello.
Dal testo complessivo della sentenza si può evincere, infatti, che la corte territoriale ha compensato le spese processuali in ragione delle particolarità del caso concreto, che rendevano obbiettivamente incerta la decisione.
Le spese della fase di legittimità vanno poste a carico del Pinto, in considerazione della sua prevalente soccombenza, e vengono liquidate unitariamente in favore dei resistenti - autori di difese identiche (anche formalmente accomunate nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ.) - nella misura indicata in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni svolte.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta;
Condanna il ricorrente principale alla rifusione delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 2.800,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 24 Febbraio 2010.
Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2010