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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 18/02/2022 Scarica PDF

Cenni teorici, tabelle, passaggi fondamentali, schemi e brevi note intorno alle Sezioni Unite Civili n. 41994 del 30 dicembre 2021

Micaela Lopinto, Avvocato in Brescia


Sommario: Abstract; 1. Premessa: cenni teorici su polizze fideiussorie, fideiussioni, contratti autonomi di garanzia; 2. I nodi complessi della sentenza; 3. Focus sui motivi di ricorso; 4. Segue ancora: le soluzioni offerte; 5. Conclusioni.

 

Abstract Ita

In questo breve scritto, riportando alla mente alcune nozioni generali in materia di contratti e invalidità negoziali, ci si soffermerà su alcuni punti critici di una recente pronuncia a Sezioni Unite in materia di fideiussioni.

 

Abstract Eng

This paper wants to reach the goal to sum up the main principles of a new interesting judgement. Particularly, It focuses on two questions: 1.) The main doctrinal and jurisprudential disputes about the nullity of contracts in Italy; 2.) The surety (“fideiussione” - articles nos. 1936 – 1957 italian civil code).


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1. Premessa: cenni teorici su polizze fideiussorie, fideiussioni, contratti autonomi di garanzia.

Polizze fideiussorie”, “fideiussioni” e “contratti autonomi di garanzia”, pur assolvendo il medesimo compito tanto da essere annoverati ed annoverabili nel genus delle “garanzie personali”, differiscono fortemente per regolamentazione normativa, eccezioni sollevabili, rimedi e struttura. Volendo partire da tale ultima considerazione può essere utile ricordare come i contratti di fideiussione, pur scaturendo da un rapporto bilaterale tra creditore e fideiussore, secondo un primo orientamento, possiedano struttura unilaterale, ma a rilievo bilaterale (volendo seguire una sola impostazione teorica che definisce con questa espressione la struttura delineata dall’art. 1333 cc., che altri, limitandoci in questa sede a fornire una rapida ricostruzione dottrinale, definiscono o unilaterale pura o, pensando a Roppo, a struttura leggera). Secondo un diverso orientamento, per contro, possiedono la stessa struttura del contratto a favore di terzo ex art. 1411 cc. su cui si modellano (normalmente) le polizze fideiussorie. Il “discorso” strutturale inerente al contratto autonomo di garanzia, invece, richiede degli approfondimenti maggiori e delle riflessioni più complesse, oltre che dei collegamenti più raffinati con altri istituti. Provando a sintetizzare, il contratto atipico in questione, pur essendo, a differenza della fideiussione, e come si vedrà meglio più avanti, svincolato da quel peculiare “nesso di accessorietà” che collega, invece, il predetto schema (fideiussorio) al contratto principale, possiede pur sempre una “forma complessa”, nel senso che esso, pur essendo unico, si sviluppa lungo tre differenti direzioni, racchiudendo in sé: a.) il rapporto di valuta tra debitore e creditore; b.) il rapporto di provvista tra debitore e terzo; c.) il rapporto residuale tra creditore e terzo. E’ proprio questa trilateralità e questa “somiglianza” con la struttura della delegazione (che, lo si vuole ricordare, può essere titolata o non titolata e possiede, al pari della trilatera operazione che sorregge il contratto bilaterale di cessione del credito, una causa variabile) che consente di parlare di negozio autonomo di garanzia con causa esterna o di contratto autonomo di garanzia con causa mista. Proviamo a spiegare meglio. Svincolare il contratto di “garanzia” dal contratto “principale” (cosa che, normalmente, non avviene nella fideiussione) significa rischiare di “perdere” la causa (come accade nella delegazione non titolata, ossia priva della indicazione del rapporto fondamentale) contribuendo ad avvalorare la tesi della astrattezza causale. La tesi della causa esterna altro non è che un “correttivo” per evitare di parlare di astrattezza sostanziale, poi a sua volta superato dalla causa mista, che cederà, nell’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale, il passo alla funzione di “passaggio o trasferimento del rischio economico” (ex multis, Cassazione Sez. III, n. 30509 del 22/11/2019 – RV. 655839/01 o ancora Cass. Civile, Sez. I, n. 32402 del 11/12/2019). Tutte le considerazioni fin qui espresse, da un lato, lasciano emergere con vigore delle possibili interferenze strutturali tra le tre forme di garanzia personale, qui oggetto di attenzione. Dall’altra consentono facilmente di comprendere perché rimedi, eccezioni e rapporti tra parti delle operazioni siano per i tre schemi differenti. Come si è già accennato, il contratto autonomo di garanzia, classificato come contratto atipico, è privo del rapporto di accessorietà che invece caratterizza la fideiussione rispetto al contratto fondamentale. Tale rilievo non incide solo sotto il profilo causale, bensì anche sotto il profilo delle eccezioni e dei rimedi ulteriori. La fideiussione genera un vincolo di accessorietà unilaterale che, in un certo senso, rinforzando il collegamento esistente tra i due negozi strutturalmente autonomi, “autorizza” il fideiussore ad opporre tutte le eccezioni che spettano al debitore principale; nel contratto autonomo di garanzia, invece, sono precluse tutte le eccezioni connesse al rapporto fondamentale, cosicché se l’invalidità di quest’ultimo cagiona l’invalidità dell’accessorio contratto di fideiussione, in questo diverso ed autonomo contratto atipico, invece, si rende necessario proteggere il “garante” dagli abusi derivanti dalle richieste che possono essere avanzate nonostante i vizi del rapporto fondamentale ed i comportamenti fraudolenti dei beneficiari della garanzia. La dottrina è normalmente concorde nel sostenere che in ipotesi di “titolo principale illecito” i cui effetti si ripercuotono sul contratto atipico (che, pur non essendo accessorio in senso tecnico, è comunque legato al contratto principale da un vincolo di accessorietà attenuata) o ancora in ipotesi di accertato e provato comportamento fraudolento o abusivo del beneficiario della garanzia personale, il garante può utilizzare lo strumento “paralizzante” dell’exceptio doli generalis. Ci si potrebbe domandare, a questo punto, quid iuris per quel che concerne la disciplina della polizza fideiussoria. Ebbene, la regolamentazione di questa ipotesi di garanzia personale è stata oggetto di forte dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Come si è accennato, anche la fideiussione, come la polizza fideiussoria, può essere modellata sull’art. 1411 cc. Pertanto, non deve stupire la scelta di parte della dottrina di ricondurre le situazioni in cui un istituto di credito sia chiamato a corrispondere una somma di denaro a favore di un beneficiario in caso di inadempimento della obbligazione a lui dovuta dal debitore (la polizza, per l’appunto) nell’ambito della disciplina codicistica della fideiussione. Tuttavia, per quanto la somiglianza strutturale possa essere una ottima argomentazione giuridica, non sono mancate consistenti voci volte a ricondurre la polizza in questione nell’ambito del contratto autonomo di garanzia che, per l’appunto, è svincolato dal vincolo di accessorietà tipico della fideiussione. Non sono mancate altre teorie ricostruttive ma, essendo questi pochi cenni focalizzati solo su tre specifici schemi, si preferisce proseguire con l’esame della pronuncia.

 

Tabella riassuntiva delle questioni giurisprudenziali e dottrinali esposte

Polizze fideiussorie”, “Fideiussioni” e “Contratti autonomi di garanzia” sono garanzie personali

Particolarità nella struttura: Unilaterale/Art. 1333 cc. (fideiussione); Contratto a favore di terzo/Art. 1411 cc. (fideiussione e polizza fideiussoria); scaturente da una operazione fondata su tre distinti rapporti (contratto autonomo di garanzia)

Questioni problematiche: Vincolo di accessorietà (fideiussione si, contratto autonomo di garanzia no); Causa; Eccezioni; Rimedi esperibili.

 

2. I nodi complessi della sentenza.

Il caso: un breve riepilogo

La società X stipulava con la Banca Y in data XXX un contratto di conto corrente e successivamente, in data XXX, un contratto di finanziamento, sotto forma di mutuo per l’importo complessivo di euro 75.000,0. Per garantire tali rapporti, la Banca Y richiedeva il rilascio di due distinte fideiussioni fino al raggiungimento della somma di euro 166.000,00 che venivano sottoscritte dal sig. Z, socio della società X, rispettivamente in data XXX e XXX. Con successive raccomandate del giorno XXX e del giorno XXX ed infine del giorno XXX, la Banca Y comunicava, peraltro, alla debitrice principale la risoluzione dei contratti, chiedendo la restituzione del relativo scoperto.

In data XXX, la Banca Y depositava, pertanto, presso il Tribunale di T, ricorso per decreto ingiuntivo, con il quale chiedeva la condanna del sig. Z al pagamento – in relazione alle due fideiussioni – delle somme di euro 56.795,37 e di euro 50.385,34. Il Tribunale adito emetteva, quindi, in data XXX, il richiesto provvedimento monitorio, nei confronti del quale l’intimato proponeva rituale opposizione a norma dell’art. 645 cpc. Con ordinanza del XXX, il procedimento veniva, tuttavia, sospeso ai sensi dell’art. 295 cpc, avendo il medesimo instaurato, nelle more del giudizio di opposizione, altro procedimento dinanzi alla Corte di Appello di R.

Con atto di citazione notificato il giorno XXX, il sig. Z. aveva, invero, invocato dinanzi alla Corte d’Appello di R. in unico grado, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 287 del 1990, la Banca Y, chiedendo dichiararsi radicalmente nulli, per violazione dell’art. 2 comma 2 lett. a) della legge n. 287 del 1990, i contratti di fideiussione del giorno XXX e del giorno XXX e per l’effetto dichiararsi che nulla era dovuto dal sig. Z alla Banca Y della quale chiedeva principalmente la condanna al risarcimento di tutti i danni subiti, patrimoniali e morali, ed inoltre avanzava anche altre pretese.

In via subordinata, il sig. Z. chiedeva dichiararsi la nullità, per violazione dell’art. 2 comma 2 della lett. a) della legge n. 287 del 1990, delle sole clausole contenute negli artt. 2, 6 e 8 dei predetti contratti di fideiussione, e dichiararsi che nulla era dovuto dal medesimo alla banca, per i debiti della società X a causa dell’intervenuta decadenza della Banca Y, ai sensi dell’art. 1957 cc. Osservava, invero, l’attore che la banca convenuta aveva depositato il ricorso per decreto ingiuntivo, con il quale aveva proposto le sue istanze nei confronti del fideiussore, solo in data XXX, ossia ben oltre il termine di sei mesi previsto dalla norma succitata, a far data dall’ultima raccomandata, emessa in data XXX, con la quale i rapporti con la debitrice principale erano stati risolti.

Nel giudizio si costituiva la società I, nella qualità di procuratore della Banca Y, chiedendo il rigetto delle domande proposte dall’attore e l’accertamento della validità ed efficacia delle fideiussioni sottoscritte dal Sig. Z.

Con sentenza n. 3746/2016, depositata il giorno XXX e notificata il giorno XXX, la Corte d’Appello di R. così provvedeva: a.) dichiarava la nullità, per violazione dell’art. 2 comma 2 lett. a) della legge n. 287/1990, delle clausole contenute negli artt. 2, 6 ed 8 dei contratti di fideiussione per cui è causa; b.) respingeva la domanda di risarcimento del danno patrimoniale; c.) condannava la società I, nella qualità di procuratore della Banca Y, al pagamento in favore del Sig. Z. a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale della somma di euro 5.000,00, oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al soddisfo; d.) condannava la società I, nella predetta qualità, alle spese del giudizio di appello.

Avverso tale pronuncia la società I, nella qualità di procuratore della Banca Y, ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.  L’intimato Sig. Z. ha resistito con controricorso e con memoria.

Con ordinanza interlocutoria n. 11486 del 2021, depositata il g. XXX, la  Prima Sezione civile di questa Corte, investita del ricorso, ha rilevato che sulla questione relativa alla tutela riconoscibile al soggetto che abbia stipulato un contratto di fideiussione a valle, in caso di nullità delle condizioni stabilite nelle intese tra imprese a monte, per violazione dell’art. 2 comma 2 lett. a) della legge n. 287 del 1990, non vi è accordo in dottrina ed in giurisprudenza, essendosi delineate tre soluzioni: a.) nullità totale del contratto a valle; b.) nullità parziale di tale contratto, ossia limitatamente alle clausole che riproducono le condizioni dell’intesa nulla a monte; c.) tutela esclusivamente risarcitoria.

La sezione ha, pertanto, rimesso la controversia alle Sezioni Unite perché venga stabilito: 1.) se la coincidenza totale o parziale con le condizioni dell’intesa a monte, dichiarata nulla dall’organo di vigilanza di settore, giustifichi la dichiarazione di nullità delle clausole accettate dal fideiussore, nel contratto a valle o legittimi esclusivamente l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno; 2.) nel primo caso, quale sia il regime applicabile all’azione di nullità, sotto il profilo della tipologia del vizio e della legittimazione a farlo valere; 3.) se sia ammissibile una dichiarazione dei nullità parziale della fideiussione; 4.) se l’indagine a tal fine richiesta debba avere ad oggetto, oltre alla predetta coincidenza, la potenziale volontà delle parti di prestare ugualmente il proprio consenso al rilascio della garanzia, ovvero l’esclusione di un mutamento dell’assetto d’interessi derivante dal contratto.


Le argomentazioni della Corte

Allontanandoci dal caso concreto per esaminare le questioni principali e più interessanti, si possono passare in rassegna le ragioni della Corte. Ebbene, quest’ultima parte proprio dalla norma, ricordando la disposizione contenuta nell’art. 2 della legge n. 287 del 1990:

1. Sono da considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi delle disposizioni statutarie o regolamentari di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari;

2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel a.) fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali […];

3. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto.

Premesso questo fondamentale dato normativo, la Corte ripercorre i fatti del processo.


Il fatto, dal punto di vista della Corte, per punti:

- Nell’ottobre del 2002, l’ABI (Associazione Bancaria Italiana) ebbe a predisporre uno schema negoziale tipo per la fideiussione a garanzia di operazioni bancarie.

- Nel novembre 2003, fu avviata una istruttoria finalizzata a verificare la compatibilità dello schema contrattuale di “fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie”, predisposte dall’ABI, con la disciplina dettata in materia di intese restrittive della concorrenza.

- Nel parere n. 14251, la Banca d’Italia interpellò l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la quale evidenziò che la disciplina della fideiussione omnibus di cui allo schema predisposto dall’ABI presentava clausole idonee a restringere la concorrenza, poiché suscettibili di determinare un aggravio economico indiretto, in termini di minore facilità di accesso al credito, nonché nei casi di fideiussioni a pagamento di accrescere il costo complessivo del finanziamento per il debitore, come dovrebbe anche remunerare il maggior rischio assunto dal fideiussore.

- Le clausole nn. 2, 6 e 8 del citato schema contrattuale e precisamente: a.) la cd. clausola di reviviscenza, secondo la quale il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo; b.) la cd. clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 cc., in forza della quale i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i termini previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cc. che si intende derogato (art. 6); c.) la clausola di sopravvivenza, a termini della quale “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”.

- Sulla base di tale parere e rilevato che dall’istruttoria espletata era emerso che diverse banche avevano ormai adottato lo schema predisposto dall’ABI e che dai dati raccolti era altresì risultato che la maggior parte delle clausole esaminate fosse stata ritenuta dalle banche applicabile anche ai contratti stipulati da soggetti privati, in qualità di fideiussori, la Banca d’Italia ha emesso il menzionato provvedimento n. 55 del 2 Maggio 2005.

- Nel provvedimento l’Autorità Garante ha osservato che le condizioni generali di contratto comunicate dall’ABI relativamente alla fideiussione a garanzia di operazioni bancarie, in quanto deliberazioni di un’associazione di impresa, sono assolutamente ricomprese nell’ambito applicativo dell’art. 2 comma 1 della legge n. 287 del 1990 nella parte in cui riconduce gli accordi o le pratiche concordati tra imprese nel genus delle intese vietate.

- Le determinazioni delle associazioni di imprese sono state quindi considerate dall’Autorità alla stregua di un elemento idoneo a ricostruire una forma di coordinamento del comportamento delle imprese concorrenti.


Le considerazioni in diritto

- Il provvedimento ha posto l’accento sul fatto che per la clausola relativa alla rinuncia del fideiussore ai termini di cui all’art. 1957 cc. e per le cd. clausole di sopravvivenza della fideiussione non sono emersi elementi che dimostrino l’esistenza di un “legame di funzionalità” tanto stretto da essere paragonato alle clausole contenute nello schema esaminato in grado, a differenza delle prime di comportare un ingiustificato aggravio della posizione del fideiussore;

- Ha, altresì, disposto che: a.) gli articoli 2, 6 ed 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengono applicate in modo uniforme, contrastano con l’articolo 2 comma 2, lett. a), della legge n. 287 del 1990; b.) le altre disposizioni dello schema contrattuale non risultano lesive della concorrenza;

- Ancora ed andando avanti nelle argomentazioni, nel giudizio si è posta anche una ulteriore questione, concernente gli effetti che, sulle fideiussioni, stipulate a valle tra Banca Y ed il sig. Z., abbia prodotto l’illecito antitrust, rilevato a monte, dal provvedimento della Banca d’Italia, ovvero se, nel caso di fideiussioni rilasciate dal cliente della banca, nelle quali siano inserite le predette clausole (dotate di acclarata valenza anticoncorrenziale) al garante spetti una tutela reale, ossia a carattere demolitorio, oppure una tutela esclusivamente risarcitoria.


Al fine di risolvere queste questioni, appare opportuno muovere dal presupposto (a parere della Corte) che l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale ed è sottoposta ai controlli più opportuni. La concorrenza tra imprese, si connota come una situazione di mercato che postula una forte libertà di accesso all’attività economica da parte degli imprenditori ed è a tale fenomeno che si ricollega l’introduzione, in pressoché tutti i Paesi occidentali della disciplina antitrust, che, non a caso regola i rapporti tra imprenditori e consente un corretto svolgimento dei rapporti concorrenziali. Le esigenze qui esposte sono state recepite in Italia dalla legge n. 287 del 1990 che, come si è già avuto di chiarire, all’art. 2 vieta le intese che abbiano ad oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante e che ben risponde al dettato dell’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’UE posto a tutela della concorrenza. Proseguendo lungo questa linea di pensiero si può precisare che le intese tra imprese finalizzate ad impedire, restringere, falsare il gioco della concorrenza nel mercato nazionale sono espressamente considerate nulle, in quanto ritenute in grado di generare una distorsione della par condicio tra imprese. Tale distorsione può ben essere il frutto di comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali” (letterali espressioni della pronuncia), “nonché [possono considerarsi distorsioni] anche le fattispecie in cui il meccanismo di intesa rappresenta il risultato del ricorso a schemi giuridici meramente unilaterali”. La stessa giurisprudenza si è interrogata in ordine alle tutele espressamente azionabili dal privato che si sia trovato a stipulare contratti di fideiussione riproduttivi in tutto o in parte di una intesa conclusa in violazione della normativa antitrust, offrendo al problema due soluzioni:

A. Lo strumento risarcitorio ancorato alla violazione dei divieti di intese restrittive della libertà della concorrenza e di abuso di posizione dominante (artt. 2 – 3 – 33 della legge in questione) non è aperto alla legittimazione attiva dei singoli “consumatori finali”.

B. Lo strumento risarcitorio può essere invocato anche dai privati, possedendo anche questi, anche non imprenditori, la necessaria legittimazione, purché possiedano la qualifica di parti stipulanti i contratti a valle. Tuttavia, tale strumento, secondo questa visione, sarebbe l’unico possibile, non potendo essere invocata una tutela reale.

La soluzione delle Sezioni Unite:al fine di offrire ai privati un adeguato livello di tutela, in quanto gli stessi vedono leso il proprio diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza ed, inoltre, lo stesso contratto stipulato “a valle” (quindi “a dimensione privata”, si potrebbe aggiungere) costituisce lo sbocco di una intesa vietata, e, dunque, sarebbe “realizzazione” di effetti vietati. Da queste considerazioni la giurisprudenza deduce che: 1. la violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall’ordinamento giuridico integra il danno ingiusto ex art. 2043 cc.; 2. il consumatore finale che subisce danno da una contrattazione che costituisce conseguenza di una contrattazione “a monte” vietata può agire (pur non essendo parte di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione) esperendo sia l’azione di accertamento della nullità dell’intesa sia l’azione per ottenere il risarcimento del danno di cui all’art. 33 della legge n. 287 del 1990, azione la cui cognizione è rimessa da quest’ultima norma alla competenza esclusiva in unico grado di merito della Corte d’Appello.


Focus di approfondimento: Qual è la sorte del contratto stipulato a valle dell’intesa vietata?

Soluzione: “Il consumatore, che è l’acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, chiude la filiera che inizia con la produzione del bene. Conseguentemente, la funzione illecita di una intesa si realizza con la sostituzione del suo diritto di scelta effettiva tra prodotti in concorrenza con una scelta apparente. […] Ai contratti a valle non può attribuirsi un rilievo giuridico diverso rispetto all’intesa che li precede: nulla essendo quest’ultima, la nullità non può che inficiare anche l’atto consequenziale”.

Nodo problematico: in un caso simile a quello del presente giudizio l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva irrogato una sanzione per la partecipazione ad una intesa restrittiva della concorrenza e del mercato a numerose compagnie di assicurazione. In questo caso, il consumatore finale aveva convenuto in giudizio, dinanzi al giudice di pace, la propria compagnia di assicurazione, chiedendo il rimborso di una parte del premio corrisposto per una polizza di RC auto, assumendo che l’ammontare del premio era stato abusivamente influenzato dalla partecipazione dell’impresa assicuratrice all’intesa vietata. 

Soluzione adottata per il caso concreto: la Corte ribadisce, innanzi tutto, la rilevanza di qualsiasi condotta di mercato (anche realizzatasi in forme che escludono una caratterizzazione negoziale) purché con la consapevole partecipazione di almeno due imprese, nonché anche la rilevanza di qualsiasi fattispecie in cui il concetto di “intesa” rappresenti il risultato del ricorso a schemi giuridici meramente “unilaterali”. Tenendo a mente tali considerazioni non deve stupire la scelta (giurisprudenziale) di non circoscrivere il rimedio della nullità delle intese ai soli schemi negoziali postisi all’origine della successiva sequenza comportamentale. Si vuole, in altri termini, estendere il rimedio a tutte le successive sequenze comportamentali rispetto al negozio originario, in quanto ritenute anch’esse idonee a realizzare un ostacolo al gioco della concorrenza. L’obiettivo che si intende raggiungere, dunque, è quello della nullità complessiva e totale, sia della intesa a monte sia della successiva “fideiussione a valle”.


Posizione della giurisprudenza in relazione a questa particolare questione:

A. Secondo un primo orientamento: a favore della nullità totale si pone la questione processuale della competenza della sezione specializzata per le imprese. Con particolare riferimento a questo specifico aspetto, la giurisprudenza ebbe modo di precisare che tale competenza: “[…] attrae anche la controversia riguardante la nullità della fideiussione riproduttiva dello schema contrattuale predisposto dall’ABI contenente disposizioni contrastanti con l’art. 2 comma 2 lett. a) della legge n. 287 del 1990, in quanto l’azione diretta a dichiarare l’invalidità del contratto a valle implica l’accertamento della nullità dell’intesa vietata”.

B. Secondo un diverso orientamento: la nullità che investe le fideiussioni a valle e, più precisamente, le fideiussioni riproduttive di clausole frutto di intesa anticoncorrenziale, sanzionata dalla Banca d’Italia, sarebbero nulle, ma non integralmente. La nullità, infatti, investirebbe soltanto le clausole viziate, consentendo di applicare al contratto di fideiussione a valle dell’intesa vietata il regime della nullità parziale.

C. Specificando con maggiore attenzione e più nel dettaglio le questioni appena esposte: l’eventuale accertamento della nullità parziale non esclude la possibilità, nei casi concreti e, dunque, anche al di fuori del caso in esame, che l’organo giudicante possa applicare la nullità ex art. 1418 cc. in ipotesi di pregiudizio per gli interessi in gioco tale da inficiare l’intero schema negoziale.

 

Posizione della dottrina in relazione a questaparticolare questione:

Secondo una prima visione, brevemente, la nullità delle intese anticoncorrenziali, ai sensi dell’art. 2 comma 2 lett. a) della legge n. 287 del 1990 comporta che le fideiussioni, riproducenti le clausole nn. 2, 6 ed 8 dello schema predisposto dall’ABI, sono da considerarsi nulle per “nullità derivata” come naturale conseguenza del rapporto strumentale esistente tra garanzia a valle e intesa a monte; si rileva così il collegamento tra intesa a monte e fideiussione a valle, che comporterebbe l’esigenza di una considerazione unitaria della fattispecie con applicazione del principio simul stabunt simul cadent. I due accordi sarebbero parti di una pratica complessivamente illecita.

Secondo una ulteriore visione: la nullità della fideiussione a valle sarebbe determinata da illiceità per contrarietà a norme imperative.

Secondo un terzo orientamento: la nullità del contratto di fideiussione a valle deriverebbe dalla nullità per oggetto illecito o, secondo altra visione, la nullità sarebbe sempre integrale, ma per violazione di norme imperative anticoncorrenziali.

Ancora in dottrina: vi sono anche sostenitori della nullità parziale.

Le regole generali del diritto civile funzionali alla risoluzione della questione in sintesi:

In linea generale:

- Principi “pacta sunt servanda” e “rebus sic stantibus”;

Più nel dettaglio:

- Prevalenza della conservazione del contratto sulla caducazione;

- Nullità totale ex art. 1418 cc.

- Nullità parziale (protettiva) ex art. 1419 comma primo cc. che risponde alle logiche del principio “utile per inutile non vitiatur”;

- Nullità con sostituzione automatica (combinato disposto degli artt. 1419 e 1339 cc.);

- Vizi incompleti del contratto (art. 1440 cc., ovvero dolo incidente) > contratto valido ma stipulato a condizioni meno vantaggiose.

 

3. Focus sui motivi di ricorso.

Forniti questi dati fattuali e giuridici fondamenti, ci si può ora soffermare sui motivi di ricorso, che, a questo punto, avendo invertito l’ordine di argomentazione scelto nella pronuncia, dovrebbero essere di facilissima comprensione:

In primo luogo, appare opportuno soffermare l’attenzione sulla considerazione secondo la quale alla Corte d’Appello è stato contestato di aver erroneamente considerato “palese ed incontestato” che le clausole nn. 2, 6, 8 dello schema contrattuale standardizzato adottato dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI) e dichiarato parzialmente nullo dalla Banca d’Italia per violazione dell’art. 2 comma 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990, siano state esattamente riprodotte nei due contratti di fideiussione di cui è causa. Più precisamente, non risulterebbe sufficientemente provata la coincidenza tra le clausole contenute nelle fideiussioni sottoscritte dal Sig. Z e quelle dello schema contrattuale ABI.

In secondo luogo, viene rilevato dalla società I che la nullità di cui all’art. 2 della legge n. 287 del 1990, colpisce solo l’intesa restrittiva della libertà di concorrenza, ma non si trasmette ai contratti stipulati a valle di tale intesa, che sono e restano validi ed efficaci, non essendo ravvisato riguardo ad essi nessuno dei vizi che determinano la nullità ex art. 1419 cc. “Ne conseguirebbe che la fattispecie non potrebbe essere ricostruita che in termini di risarcimento per fatto illecito, dovendosi viceversa escludere qualsivoglia patologia riconducibile nell’alveo della nullità contrattuale”. La conseguenza di questo passaggio è così sintetizzabile: “la nullità derivata non è ravvisabile nelle clausole derogative in materia di fideiussione, dovendo, per contro, ritenersi tali clausole (in quanto espressione di autonomia privata, essendo contenute nei singoli accordi conclusi tra banca e clienti) assolutamente valide e non affette da vizi”. La ragione della validità è ravvisabile nella circostanza secondo la quale sarebbero “inficiate” le sole intese di cartello tra le imprese che inseriscono delle clausole in uno schema standard generalizzato, determinando un sistematico abbandono della disciplina legale in senso ritenuto deteriore per il fideiussore.

In terzo luogo: anche la Corte di R. sarebbe caduta in errore nell’asserire che i due schemi negoziali oggetto di attenzione non sarebbero qualificabili come contratti autonomi di garanzia, bensì come cd. (volendo usare l’espressione letterale della pronuncia) “contratti a garanzia di operazioni bancarie”. Questi contratti, secondo la ricostruzione della Corte rientrerebbero entrambi nello schema della fideiussione omnibus. La fondamentale conseguenza di questa (asseritamente errata) classificazione sarebbe l’esclusione della rilevanza della derogabilità di alcune norme della disciplina legale della fideiussione (si pensi, asserisce la Corte, a titolo esemplificativo, all’art. 1957 cc.). Ancora e proseguendo lungo questa linea di pensiero la Corte avrebbe errato ulteriormente nel sostenere che l’illecito anticoncorrenziale si sostanzierebbe solamente nella predisposizione di condizioni generali standardizzate che risultano contrastanti con l’art. 2 comma 2 lett. a) l. 287 del 1990, “nella misura in cui vengono applicate in modo uniforme”, pertanto non sarebbe in grado di ricomprendere anche le situazioni riguardanti la stipula da parte dei contraenti di una fideiussione di contratti atipici. Sulla base di queste considerazioni, asserisce la società I, sarebbe ravvisabile un contrasto con l’art. 7 del contratto di fideiussione di cui è causa, a mente del quale “il fideiussore sarebbe tenuto all’immediato pagamento di quanto dovuto alla banca, in forza del rapporto di garanzia, a semplice richiesta scritta della banca medesima e indipendentemente da eventuali eccezioni del debitore”. Analizzando la clausola seguendo la posizione della società I, emergerebbe quanto segue: 1.) si tratterebbe di contratti autonomi di garanzia (o garanzia a prima richiesta) ai quali non si applica il prima citato art. 1957 cc.; 2.) la Corte conseguentemente sarebbe incorsa nella violazione della disciplina codicistica della interpretazione dei contratti, nonché nella violazione dell’art. 100 cpc poiché il sig. Z non avrebbe potuto avere alcun interesse a far valere la nullità delle predette clausole, in ragione della pacifica derogabilità del disposto dell’art.1957 cc. nei contratti autonomi di garanzia (e dunque la sua non applicabilità, poc’anzi indicata).

In quarto ed ultimo luogo: l’istante, a completamento di quanto indicato nel precedente punto, sostiene e ricorda che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il sig. Z aveva proposto esclusivamente l’eccezione di nullità della clausola posta in deroga del più volte citato art. 1957 cc. pertanto, non aveva espressamente fatto riferimento e contestato la nullità (riferita alle intese vietate e) discendente dall’art. 2 legge 287 del 1990, nonché dagli artt. 2 ed 8 degli impegni di garanzia, ossia le clausole di reviviscenza dell’impegno di garanzia […]. Una volta esclusa la violazione dell’art. 1957 cc. nessun risarcimento del danno all’immagine poteva essere riconosciuto al sig. Z dalla Corte […] che sarebbe […] incorsa nella violazione dell’art. 2043 cc.

 

4. Segue ancora: le soluzioni offerte.

Applicazione delle ricostruzioni giurisprudenziali e dottrinali al caso concreto:

Soluzione adottata: intermedia > nullità parziale.

Ragioni della scelta: Tenendo a mente i motivi di ricorso appena esposti occorre subito precisare che appare difficile, alla luce delle argomentazioni giuridiche esposte, attribuire rilievo alla circostanza a mente della quale i contratti tra impresa bancaria e cliente costituirebbero esercizio dell’autonomia privata ex art. 1322 cc. e pertanto non sarebbero viziati da nullità nonostante l’inserimento all’interno del contratto di alcune clausole estratte dal programma anticoncorrenziale proprio perché la scelta sarebbe espressione dell’autonomia contrattuale. L’autonomia contrattuale incontra pur sempre i limiti imposti dalla legge. Pertanto, la tutela invocabile dal privato non può essere solo una tutela risarcitoria ma deve essere riconosciuta anche la possibilità di promuovere una azione restitutoria ex art. 2033 cc. fondata sulla nullità del contratto a valle, non potendosi, per tutte le ragioni esposte, legittimamente limitare la tutela al solo risarcimento del danno. Tale assunto, oltre che sulle argomentazioni già espresse, si fonda sulla considerazione a mente della quale la normativa antitrust non ha solo ad oggetto la tutela del singolo bensì nasce soprattutto per tutelare un elemento più ampio che è il mercato, pertanto la tutela non può essere ridotta ad una mera corresponsione di un risarcimento ma richiede un “quid pluris.

Focus sul sistema europeo: a diversa conclusione non si perviene volgendo lo sguardo verso il diritto eurounitario, il quale rinvia ai giudici nazionali ed al diritto degli Stati Membri per ogni decisione, ferma restando l’esigenza (dettata anche dalla Direttiva Enforcement) di non rendere eccessivamente difficoltoso l’esercizio del diritto, conferito dall’Unione, al pieno risarcimento per il danno causato da una violazione del diritto della concorrenza.

Focus sulle specifiche ragioni a sostegno della nullità parziale art. 1419 cc.: nel caso di specie le clausole nn. 2, 6 ed 8 dello schema ABI riprodotte nella fideiussione hanno prodotto come naturale conseguenza l’effetto di rendere la disciplina più gravosa, ma risulta evidente anche l’interesse sia della parte privata sia dell’imprenditore bancario al mantenimento della garanzia. La Corte ricorda come la previsione di cui all’art. 2 comma 3 della legge n. 287 del 1990, nello stabilire che le intese vietate sono nulle ad ogni effetto, sancisce una sorta di nullità speciale posta a presidio di un interesse pubblico e in specie dell’ordine pubblico economico, quindi una nullità ulteriore rispetto a quelle che il sistema già conosceva. La nullità in questione avrebbe quindi una portata più ampia rispetto alla nullità codicistica ex art. 1418 cc. Tuttavia, tale ampia portata non inficia la possibilità di vedere applicato il regime della nullità parziale in ipotesi (come realmente accaduto) di trasposizione nel contratto di sole tre clausole. E questo (questione affrontata in Appello ed incensurabile in Cassazione) vale a prescindere dalla presenza o meno di sanzioni pecuniarie irrogate nei confronti degli autori della violazione.

Soluzione: nullità parziale, nel caso concreto delle tre clausole oggetto di contestazione: - rigetto del 1° e 2° motivo di ricorso; - assorbimento delle questioni contenute nei motivi 3° e 4° concernenti natura delle fideiussioni e derogabilità dell’art. 1957 cc.

 

5. Conclusioni.                                                                                       

Principio di diritto: “i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2 comma 2 lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2 comma 3 della legge succitata e dell’art. 1419 cc., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto o sia altrimenti provata una diversa volontà delle parti”.

Il principio di diritto appena riportato, oltre ad essere condivisibile e coerente con i passaggi evidenziati, ben ricalca la ratio ultima delle nullità in generale e delle nullità parziali in particolare. Appare difficile, viste le ampie motivazioni offerte, aggiungere delle considerazioni ulteriori. Così come pure appare difficile svolgere delle riflessioni critiche visti i condivisibili e piani passaggi argomentativi e motivazionali. Premessi questi dati di fatto, si può provare a porre l’accento sul rilievo attribuito alla volontà delle parti, che costituisce nucleo essenziale e fondamentale della nullità (protettiva) parziale ex art. 1419 cc. Ciò che si richiede all’organo giudicante è di operare una ricostruzione della struttura contrattuale concretamente realizzata dalle parti al fine di paragonarla a quella risultante dopo la rimozione delle clausole nulle, per poi valutare la “resistenza” dello schema alla caducazione di alcune sue parti e la sua capacità di soddisfare ugualmente gli interessi oggettivi delle parti. Ebbene, vero punctum dolens della questione sembra essere la volontà delle parti e la possibilità, in concreto, di “mantenere” il contratto in piedi in assenza di altri fattori che possono far propendere per la caducazione assoluta ex art. 1418 cc. (Rif. p. 19 della pronuncia). Il compito dell’organo giudicante, dunque, si riduce ad una corretta interpretazione (ispirata a criteri oggettivi, o meglio al criterio oggettivo di buona fede, preferito al criterio della volontà ipotetica in ossequio alle sentenze delle SSUU del 2014, nn. 26242 e 26243, par. 6.16.4) degli interessi delle parti che, paradossalmente, ottengono tutela attraverso una interpretazione non individuale bensì oggettiva ed ampia della normativa antitrust, dalla cui incorretta applicazione discende la invalidità del contratto a monte che cagiona (in alcuni casi, non solamente) la caducazione parziale della fideiussione a valle. La questione è pertanto solo apparentemente complessa perché si traduce nella applicazione dell’art. 2 della legge antitrust, nella verifica del collegamento funzionale tra contratto a monte e contratto a valle e nella valutazione della applicabilità del principio “utile per inutile non vitiatur”. Si tratta, in altri termini, di un classico del diritto civile.



[1] La sentenza è stata pubblicata sul sito ufficiale della Corte di cassazione, www.cortedicassazione.it, nonché su Riv. IlCaso.it, www.ilcaso.it, all’indirizzo internet, consultato nel mese di Febbraio 2022, di seguito riportato: https://www.ilcaso.it/sentenze/ultime/26368.


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