Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 117 - pubb. 01/07/2007

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Tribunale Catania, 26 Novembre 2004. Est. Paternò Raddusa.


Società a responsabilità limitata – Mancato adeguamento dello statuto – Clausola arbitrale – Nullità – Sussistenza.

Società a responsabilità limitata – Impugnazione della delibera di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale – Omesso deposito della relazione sulla situazione patrimoniale – Nullità – Sussistenza.



La clausola arbitrale che, alla data del 1 ottobre 2004, non sia stata adeguata alla nuova normativa in materia societaria e che preveda il conferimento del potere di nomina degli arbitri in capo a soggetti intranei alla compagine sociale deve essere considerata radicalmente nulla; trattasi di nullità radicale che priva di qualsivoglia effetto nella sua interezza la originaria scelta compromissoria, non potendo nella specie trovare applicazione il meccanismo di salvezza di cui al comma II dell'art 1419 cc per le ipotesi di nullità parziale. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

La norma contenuta nell’art. 2446 c.c., la quale subordina la validità della delibera assembleare di riduzione e ricostituzione del capitale sociale al deposito, durante gli otto giorni che precedono la relativa assemblea, di una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale della società idonea a rappresentare l’effettiva ed attuale consistenza economica dell’ente, è applicabile anche alla fattispecie prevista dall’art. 2447 c.c. di riduzione per perdite del capitale sociale al di sotto del minimo legale. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


SENTENZA

nella causa civile iscritta al n 1742/04 R.G. avente ad oggetto

impugnazione delibera assembleare

All'udienza collegiale di discussione del 26 novembre 2004 il Tribunale si riservava di decidere sulle conclusioni delle parti siccome rispettivamente precisate dalle attrici nella istanza di fissazione della udienza e dalla convenuta dalla nota di precisazione depositata in atti.

In esito alla riunione in camera di consiglio il Tribunale statuiva come da dispositivo, letto in udienza e allegato al verbale di causa differendo il deposito della sentenza giusta I'art 16 comma V del dlvo 5/03 nel termine massimo ivi sancito.

Ciò precisato, il Tribunale osserva.

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 6/2/04 Bianchi Grazia Maria e Bianchi Antonella, dopo aver premesso di essere socie della Alfa Cafè srl impugnavano la delibera assunta dalla assemblea straordinaria del 7/11/03 con la quale la società convenuta aveva deciso di procedere all'azzeramento del capitale sociale ed alla sua ricostituzione mediante versamento in denaro dei soci.

Assumevano, tra l'altro, l'invalidità della delibera sotto il profilo della violazione del disposto di cui all'art 2446 cc per l'omesso deposito presso la sede sociale della relazione attestante la situazione patrimoniale della società durante gli otto giorni che ebbero a precedere l'assemblea.

Con separato ricorso, poi, instavano giusta l’art 2378 comma III cc per la immediata sospensione della delibera impugnata in esito al cui deposito il giudice designato dal Presidente della Sezione disponeva dapprima la comparizione delle parti e poi, nella contumacia della convenuta resistente nel sub-procedimento cautelare, la sospensione degli effetti della delibera impugnata.

Con comparsa notificata, nel rispetto del termine concessole dalle attrici in citazione ex art 4 del dlvo 5/03 ma dopo la concessione del provvedimento di sospensione, la convenuta eccepiva I'improponibilità della domanda. per la presenza in statuto di una clausola compromissoria che devolveva ad un Collegio arbitrale le controversie insorte tra soci e società e, nel merito, contestava l'assunto delle attrici evidenziando che, per come noto alle stesse, la relazione attestante la situazione patrimoniale funzionale alla delibera assunta era stata tempestivamente depositata presso lo studio del professionista che seguiva contabilmente la compagine per la intervenuta chiusura della sede sociale. Provvedeva, di poi, a costituirsi ritualmente in giudizio.

In esito alla notifica della comparsa di costituzione e risposta da parte della convenuta, le attrici replicavano con memoria ex art 6 d.lvo 5103 evidenziando, tra l'altro, la nullità della clausola compromissoria statutaria perchè in contrasto con l'art 34 stesso decreto. Indi, non avendo la convenuta a sua volta replicato nel termine di cui al comma l dell'articolo 7, le attrici, tempestivamente notificavano prima e depositavano poi istanza di fissazione udienza cui faceva seguito il deposito da parte della convenuta della nota di precisazione delle conclusioni.

Depositate, infine, le rispettive comparse conclusionali la causa, in esito alla discussione orale innanzi al Collegio, veniva decisa come da dispositivo letto in udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda delle attrici appare fondata e va pertanto accolta.

Sulla nullità della clausola compromissoria statutaria.

Preliminarmente va vagliata -e, per quanto si dirà da qui a poco, superata - l'eccezione di improponibilità della domanda articolata dalla convenuta in comparsa di risposta. Ritiene infatti il Tribunale fondata la controeccezione di nullità della relativa previsione statutaria - ritualmente sollevata dalla difesa delle attrici con la memoria di replica resa ai sensi dell'art 6 del decreto legislativo 5/03 - per la sopravvenuta contrarietà della clausola in questione al principio dettato dall'art 34, comma II, stesso decreto.

In particolare, in punto di fatto va osservato come lo statuto della Alfa Cafè srl, all'art 25 preveda che " qualunque controversia dovesse insorgere....tra i soci e la società,...in relazione alla esecuzione o alla interpretazione del contratto sociale verrà devoluta alla cognizione di un Collegio di arbitri composto di tre membri nominati uno da ciascun contendente ed il terzo d'accordo tra le parti o in mancanza dal Presidente del Tribunale di Catania ".

E' poi noto che in tema di arbitrato societario I'art 34 comma II del decreto legislativo nr 5/03 impone oggi, a pena di nullità, il conferimento statutario del potere di nomina degli arbitri ad un soggetto estraneo alla compagine sociale e che ai sensi del combinato disposto di cui al comma VI del medesimo articolo e dell'art 223bis disp att. del cod. civ. era in facoltà delle società di capitali adeguare il relativo statuto ai nuovi principi dettati dal citato decreto legislativo entro il termine ultimo del 30 settembre 2004.

Infine, sempre in punto di fatto, è incontroverso che la società, nel termine ultimo sopra citato non ha adeguato lo statuto mantenendo quindi immutata la previsione statutaria che occupa.

Occorre, quindi, definire la sorte delle clausole statutarie non adeguate alla data del 1 ottobre 2004 le quali, come nella specie, prevedono il conferimento del potere di nomina in capo a soggetti intranei alla compagine.

Sono tre gli orientamenti interpretativi sostanzialmente emersi nel panorama dottrinario con riferimento alla tematica che occupa.

Il primo, cui il Tribunale ritiene di aderire, considera radicalmente nulla la relativa clausola non adeguata finendo per espungerla dal contratto sociale; il secondo, pur condividendo la sanzione della nullità, ritiene tuttavia applicabile alla specie il disposto di cui all'art.1419 cc limitando l'invalidità alla sola previsione del conferimento di nomina a soggetti intranei alla società e facendo salva la scelta compromissoria tramite il meccanismo sostitutivo previsto dal comma Il del citato articolo, qui garantito dalla seconda parte del comma Il dell'art 34 che prevede l'intervento sostitutivo del Presidente del Tribunale; infine, il terzo ritiene che accanto all'arbitrato societario sopravviva, anche per le controversie sussunte sotto l’egida dell'art 1 del dlgvo nr 5/03, l'arbitrato comune e che le regole tipicamente proprie dell'arbitrato societario possano trovare applicazione solo nel caso in cui la compagine, adeguando lo statuto, abbia inteso aderire a siffatta nuova forma di definizione delle controversie ferma restando, in caso contrario, la validità della scelta compromissoria originale, regolata dalle norme di diritto comune dettate dal codice di rito.

L'ultima di siffatte opzioni normative non convince il Collegio. Essa si fonda principalmente sul dato letterale dell'art 34 nella parte in cui si limita a prevedere che gli atti costitutivi delle società "possono" prevedere la devoluzione ad arbitri delle controversie mediante clausole compromissorie; e, per il vero, trova una (immediata ma equivoca) conferma nella relazione al decreto delegato nella quale si legge che “la formulazione del testo contribuisce alla creazione di una compiuta speciesarbitrale che si sviluppa senza pretese di sostituire il modello codicistico (naturalmente ultrattivo anche in materia societaria) comprendendo numerose opzioni di rango processuale...che appaiono assolutamente funzionali alla promozione della cultura dell'arbitrato endosocietario”. E' a dirsi, tuttavia, che, fermandosi al dato letterale, il riferimento al "possono" di cui al I comma dell'art 34 appare evidentemente volto a garantire non tanto la sopravvivenza dell'arbitrato di diritto comune anche per le controversie societarie quanto la libertà; per le società, di scegliere, per la definizione delle controversie, la via arbitrale quale alternativa a quella giurisdizionale sottoponendosi, tuttavia, in caso di previsione della clausola compromissoria, alle previsioni procedurali da ritenersi, per come riportato dalla stessa formulazione del successivo art 35, inderogabili (e qui, al contrario del richiamo precedente, il dato letterale assume un significato interpretativo certamente più pregnante nel senso della imprescindibilità delle regole ivi dettate per gli arbitrati che coinvolgano le materie segnalate dall'art 1 del decreto).

Quanto al rapporto tra disciplina arbitrale comune e societaria appare corretto parlare di coesistenza ma non nel senso, suggerito dall'orientamento che qui si avversa, della alternatività tra i due sistemi di arbitrato per le medesime controversie, quanto di compresenza, in ciascun arbitrato societario, sia delle regole comuni - che ne costituiscono il substrato - che di quelle speciali che si aggiungono alle prime, integrandole e se del caso anche derogandole.

Il tenore della norma che occupa non può, quindi, che far ritenere nulle le clausole che attribuiscono ad un intraneo alla compagine il potere di nomina degli arbitri; e ciò sia in caso di nuova costituzione che di società già costituite alla data del 1/1/04 che non abbiano provveduto ad adeguare lo statuto nel termine ultimo del 30/9/04.

Ed è, a parere del Collegio, una nullità radicale che priva di qualsivoglia effetto nella sua interezza la originaria scelta compromissoria non potendo nella specie trovare applicazione il meccanismo di salvezza di cui al comma Il dell'art 1419 cc per le ipotesi di nullità parziale.

In particolare, la possibilità di mantenere valida la scelta arbitrale salvando la clausola per il tramite della forzata sostituzione della invalida attribuzione del potere di nomina ad un intraneo riferendosi al potere di intervento sostitutivo del Presidente del Tribunale sancito dalla Il parte del comma Il dell'art 34 appare ostacolata da più considerazioni.

In primo luogo dalla circostanza che l'attribuzione ad un estraneo della società del potere di nomina rappresenta un momento qualificante dell'arbitrato societario perché in essa si concreta l'intenzione di consolidare l'indipendenza e l'imparzialità dell'arbitro senza la quale si finirebbe per vanificare una parte importante della ratio sottesa alla nuova disciplina. II sistema esterno di nomina costituisce, cioè, un passaggio decisivo per accedere all'arbitrato societario sì che appare certamente inesatto affermare che la nullità che inerisce alle modalità della nomina con il conferimento del relativo potere ad un intraneo non involge in se la scelta arbitrale, travolgendola, bensì solo una sua declinazione, id est il modo di nominare gli arbitri. Piuttosto, la relativa nullità deve ritenersi tale da travolgere per intero la scelta compromissoria, da ritenersi compatibile con l'arbitrato societario solo in caso di conferimento a terzi estranei del potere di nomina.

La letterale formulazione della norma non sembra poi lasciare adito ad equivoci di sorta: la nullità opera immediatamente in caso di attribuzione ad un intraneo del potere di nomina mentre il potere sostitutivo del Presidente del Tribunale, lungi dal costituire regola generale supplettiva in caso di mancata designazione, è destinato a divenire operativo solo ed esclusivamente se il terzo estraneo indicato in statuto non provvede restando inerte alla sollecitazione degli interessati. Ne viene la conseguenziale inadeguatezza del richiamo all'art 1419 comma Il il quale presuppone la presenza di una norma imperativa che consenta una immediata I sostituzione della scelta convenzionale al fine di garantire la conservazione del contratto. Nel caso dell'arbitrato societario, l'intervento suppletivo del Presidente del Tribunale presuppone, piuttosto, che già a monte le parti abbiano inteso attribuire ad un terzo il potere di nomina degli arbitri e che quest'ultimo sia rimasto inerte; laddove, invece, il conferimento sia stato attribuito ad un intraneo, è la stessa scelta compromissoria a risultare minata in radice e l'intervento giudiziale del tutto estraneo (oltre che invasivo) rispetto alla volontà negoziale delle parti che, in violazione di una norma imperativa, non volevano riferire ad un terzo estraneo il potere di nomina. A rimanere caducata è quindi l'intera previsione statutaria contraria a legge e non solo la modalità di nomina dell'arbitro.

La clausola statutaria in oggetto va pertanto dichiarata priva di effetti e come tale non ostativa alla disamina del merito della presente controversia.

Sulla fondatezza della impugnazione per la dedotta violazione del disposto di cui all’art 2446 cc.

Ritiene il Tribunale di dover confermare il provvedimento anticipatorio reso dal relatore quale Giudice della cautela non essendo mutati i termini della controversia pur in esito alla costituzione della società convenuta.

In particolare, è noto che ai sensi del combinato disposto di cui agli artt 2496 e 2446 (nelle rispettive formulazioni vigenti anteriormente alla entrata in vigore del Divo nr 6/2003) la validità delle delibera assembleare di riduzione e ricostituzione del capitale sociale (così come avvenuto nella specie) appare subordinata al deposito, durante gli otto giorni che precedono la relativa assemblea, di una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale della società idonea a rappresentare l'effettiva ed attuale consistenza economica dell'ente alla data della delibera per consentire ai soci di deliberare consapevolmente sulle iniziative da assumere per eliminare lo squilibrio patrimoniale. Che, poi, l'omesso deposito della situazione patrimoniale, compromettendo il diritto di informazione dei soci integri gli estremi tipici della nullità ovvero, per come ritenuto dal Collegio con il conforto della prevalente giurisprudenza, della annullabilità (cfr tra le tante Trib Bologna, 4/5/98 in F IT 1999, 3, 1016; App. Milano 13/11/1997 ibidem, 1998, 1,584) resta, nel caso che occupa, del tutto irrilevante mentre, per contro, è importante evidenziare che le formalità sancite dal citato art 2446 cc in punto al detto deposito sono costantemente ritenute applicabili anche all'ipotesi, quale quella di specie, di cui al successivo art 2447 - riduzione per perdite al di sotto del minimo legale e contestuale ricostituzione del capitale sociale -che nulla dispone sul detto deposito, ma che presuppone, per forza di cose, la piena ottemperanza da parte degli amministratori all'obbligo informativo sotteso all'adempimento che occupa. Nella specie, a parere del Collegio, gravava sulla società resistente l'onere di comprovare che la delibera impugnata venne preceduta dal tempestivo deposito della situazione patrimoniale. E siffatta prova non risulta acquisita per la inidoneità al fine sia delle prove precostituite allegate dalla convenuta a sostengo del proprio assunto che delle prove orali indicate in ricorso e puntualmente ribadite nella nota di precisazione. Sostiene in particolare la convenuta che la relazione sulla situazione patrimoniale venne nella specie depositata presso la sede del consulente della società nel rispetto del termine previsto dall'art 2446 cc e ciò in quanto la sede sociale all'epoca risultava già chiusa; ancora, che le attrici erano perfettamente a conoscenza di siffatte circostanze sì che la mancata consultazione della situazione patrimoniale, quale ragione invalidante la delibera impugnata, doveva ritenersi non ascrivibile al comportamento della società bensì imputabile alla scelta consapevole delle Bianchi. L'assunto non ha trovato conforto probatorio.

Ed infatti, se è incontroverso che la sede della società già negli otto giorni che ebbero a precedere l'assemblea non era più accessibile perché chiusa (sì che certamente la situazione patrimoniale non poteva ivi essere depositata), del pari può escludersi che le prove addotte dalla convenuta possano in qualche modo confermare che la relazione sulla situazione patrimoniale era stata depositata presso la sede del consulente della società nel termine previsto ex lege e che di ciò ne erano a conoscenza le attrici.

E così, i documenti allegati (sub 3, 4, 7) non consentono in alcun modo di avvalorare l'assunto della convenuta perché non contengono alcuna conferma di quanto dalla stessa sostenuto. Anzi, è a dirsi che mentre la convocazione dell'assemblea ordinaria per l'approvazione del bilancio reca uno specifico riferimento alla sede sociale per consentire ai soci di esaminare la relativa documentazione di supporto, per contro la convocazione relativa alla assemblea in esito alla quale venne resa la delibera che occupa nulla reca sul punto. La relazione dell'amministratore che la convenuta sostiene sia stata depositata nel rispetto del termine di cui all'art 2446 cc (verosimilmente quella allegata sub 7), senza nulla portare quanto alla conferma della data del deposito e del luogo di al locazione dello stesso, reca poi una serie di incongruenze logiche e cronologiche che ne inficiano la verosimiglianza (la data ivi apposta è quella del 24 ottobre del 2003 ma nel documento si legge il riferimento alla Il odierna assemblea Il tale da riportarne il momento di redazione alla data della assemblea stessa, avvenuta il 7 novembre successivo; ancora, sempre nel documento si legge il riferimento alla assemblea tenutasi "lo scorso 24/10/03", ulteriore elemento che rende quantomeno incerta la stessa data di redazione della relazione).

Le prove orali dedotte in comparsa si sono infine rilevate del tutto inconducenti.

In particolare, i capitoli dedotti dal nr 1 al nr 4 si riferiscono tutti a circostanze comunque estranee all'odierno oggetto del contendere (perché prodromiche e funzionali alla approvazione della, diversa da quella che occupa, delibera di approvazione del bilancio che ebbe a procedere la delibera oggi impugnata e comunque involgenti la sfera cognitiva di un soggetto diverso dalle odierne attrici, tale Tirendi Francesco, senza che a monte sia stato quantomeno addotto e comprovato il collegamento tra quest'ultimo e le attrici stesse); il capitolo 5, ove confermato, potrebbe al più portare alla dimostrazione del deposito della relazione di cui sopra presso la sede del consulente della società senza però fornire alcun elemento quanto alla conoscenza di siffatto evento in capo alla attrici ed alla tempestività del deposito rispetto al termine di cui all'art 2446 cc.

Va quindi confermata la declaratoria di invalidità della delibera impugnata già resa in via anticipatoria dal Giudice della cautela.

Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio

PQM

Il Tribunale, in accoglimento della domanda, annulla la delibera assembleare impugnata e compensa tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Catania il 26/11/2004.